Buongiorno, Shadowhunters!
Tor.com ha condiviso un lunghissimo “estratto” di Chain of Iron… e questa volta tutto ruota intorno all’enigmatica figura di Grace Blackthorn.
Il capitolo, ambientato durante l’infanzia di lei (tra il 1893 e il 1896, appunto), ci offre nuove informazioni sul suo rapporto con Tatiana e Jesse; per ovvi motivi, quindi, contiene qualche spoiler de La Catena d’Oro. Nulla di particolare, ovviamente – si tratta pur sempre di un assaggio del passato di lei!
Buona lettura! E fateci sapere se questo estratto vi ha fatto o meno provare un po’ di tenerezza (momentanea) per Grace. ;P
Era stata qualcun altro, un tempo – questo se lo ricorda. Una ragazzina differente, ma con gli stessi polsi sottili e i capelli biondo platino. Quando era ancora piccola, i suoi genitori l’avevano fatta sedere e le avevano spiegato che loro tre e tutti i loro conoscenti non erano persone normali, ma discendenti degli angeli. Nephilim, con il compito di proteggere il mondo dai mostri che lo minacciavano. La bambina non era neanche in grado di ricordare da quanto avesse il disegno di un occhio sul dorso della mano. Gliel’avevano fatto i suoi genitori, e quel simbolo la marchiava come una degli Shadowhunters, permettendole di vedere mostri invisibili agli altri.
Probabilmente avrebbe dovuto ricordare i dettagli dei volti dei suoi genitori, la casa in cui avevano vissuto. Al tempo aveva avuto sette anni – le sarebbe dovuto riuscire di rammentare ciò che aveva provato nella stanza di pietra di Alicante, quando una folla di adulti a lei sconosciuti l’avevano raggiunta per dirle che i suoi genitori erano morti.
Ma quel momento era stato la fine di ogni sentimento. La ragazzina che era esistita prima di entrare in quella stanza di pietra – quella ragazzina non c’era più.
Sulle prime, la bambina aveva creduto che l’avrebbero spedita a vivere con qualche membro della sua famiglia, sebbene i suoi genitori fossero sempre stati distanti dai loro parenti, e dunque questi ultimi fossero per lei estranei. Invece l’avevano mandata da un’estranea completamente diversa. All’improvviso era diventata una Blackthorn. Una carrozza di un color ebano così lucido a scuro da ricordare un pianoforte era arrivata per lei; l’aveva trasportata lungo i campi estivi di Idris e fino al limitare della Foresta di Brocelind, dove avevano attraversato delle cancellate di ferro formate da intricate filigrane. Erano giunti alla tenuta dei Blackthorn, la sua nuova casa.
Per la ragazzina doveva essere stato sconvolgente, passare da quell’abitazione modesta nella parte inferiore di Alicante alla dimora ancestrale di una delle famiglie Shadowhunter più antiche. Ma quello stupore, però, e così pure la maggior parte dei suoi ricordi della casina ad Alicante, erano spariti insieme a molto altro.
La sua nuova madre era strana. Inizialmente gentile, quasi troppo. A volte la afferrava all’improvviso per il polso, stringendola con forza. “Non pensavo che avrei mai avuto una figlia,” mormorava, meravigliata, come se stesse parlando a qualcuno in quella stanza che la bambina non poteva vedere. “E ha pure un nome così carino. Grace.”
Grace.
Ma c’erano anche altre cose, più inquietanti, che rendevano Tatiana Blackthorn strana. Non faceva nulla per mantenere la casa di Idris, o per evitare che cadesse a pezzi; la sua unica domestica era una cameriera silenziosa e dall’aria arcigna, che Grace vedeva assai di rado. Talvolta Tatiana sapeva essere piacevole; in altri momenti, però, si metteva a snocciolare aspramente la lista di tutte le sue lamentele – contro i suoi fratelli, contro le altre famiglie Shadowhunter, contro gli Shadowhunters in generale. Erano responsabili della morte di suo marito, e tutti loro, stando a quello che aveva capito Grace, potevano pure andarsene al diavolo.
Provava gratitudine per essere stata accolta, ed era felice di avere una famiglia e un posto a cui appartenere. Ma quel luogo era strano, e sua madre – sempre impegnata in strane magie negli angoli bui della tenuta – non poteva davvero essere conosciuta. L’esistenza di Grace sarebbe stata davvero solitaria, se non fosse stato per Jesse.
Aveva sette anni più di lei, ed era ben lieto di avere una sorella. Era silenzioso, gentile; leggeva per lei e la aiutava a realizzare corone di fiori nel giardino di casa. Grace si era resa conto che il volto di Jesse diventava inespressivo ogni volta che la madre si metteva a parlare dei suoi nemici e del desiderio di vendetta che covava nei loro confronti.
Se al mondo c’era qualcosa che Tatiana amava, quel qualcosa era Jesse. Con Grace poteva comportarsi in maniera critica, ed elargire con generosità schiaffi e pizzicotti; su Jesse però non avrebbe mai alzato un dito. Grace si domandava se fosse perché era un ragazzo, oppure perché – a differenza di lei, una semplice protetta che aveva accolto in casa – era figlio suo di sangue.
Ma la risposta non avrebbe comunque avuto grande importanza. Finché avesse avuto Jesse, a Grace non sarebbe mai servita l’adorazione di sua madre. Era lui a starle accanto nei momenti in cui ne aveva più bisogno, ed era così più grande da sembrarle quasi un adulto.
Era un bene che si tenessero compagnia a vicenda, dal momento che lasciavano di rado la tenuta, se non per accompagnare la madre durante i suoi brevi viaggi a Chiswick House, un’ampia abitazione di pietra in Inghilterra che Tatiana aveva strappato ai fratelli venticinque anni prima e ora custodiva gelosamente. Sebbene la casa si trovasse vicino Londra, e fosse dunque una proprietà di grande valore, Tatiana sembrava decisa a far marcire pure quella.
Grace si sentiva sempre sollevata ogni volta che tornavano a Idris. Trovarsi in prossimità di Londra non la faceva propriamente ripensare alla sua vecchia vita – quella si era trasformata in ombre e sogni –, ma le ricordava di avere un passato, un lasso di tempo in cui non era appartenuta a Jesse, a Tatiana e alla tenuta dei Blackthorn. E pensieri simili a cosa sarebbero mai serviti?
***
Un giorno Grace aveva sentito degli strani rumori sordi provenire dalla stanza sopra alla sua. Era salita a investigare, più per curiosità che per preoccupazione, e aveva scoperto che, sorprendentemente, la fonte di quel suono era Jesse, che aveva improvvisato con delle balle di fieno e della juta una struttura per il lancio dei coltelli in una delle camere spaziose e dagli ampi soffitti all’ultimo piano della tenuta. I precedenti abitanti dovevano averle utilizzate come stanze d’addestramento, ma Tatiana le chiamava sempre e solo “le sale da ballo”.
“Che stai facendo?” domandò Grace, scandalizzata. “Sai che non dovremmo fingere di essere degli Shadowhunters.”
Jesse era andato a recuperare un coltello dalla balla di fieno. Grace non poté non notare che aveva colpito con precisione il suo bersaglio. “Non si tratta di fare finta, Grace. Noi siamo degli Shadowhunters.”
“Solo di nascita, dice mamma,” precisò lei con fare cauto. “Non per scelta. Gli Shadowhunters sono bruti e assassini, dice lei. E noi non abbiamo il permesso di allenarci.”
Suo fratello si preparò a lanciare di nuovo. “Eppure viviamo a Idris, una nazione segreta che è stata costruita per gli Shadowhunters ed è nota solo a loro. Tu porti un Marchio. Io… dovrei.”
“Jesse,” lo chiamò lei, piano. “Ti importa davvero così tanto di essere uno Shadowhunter? Di combattere i demoni con dei bastoncini e cose così?”
“È per quello che sono nato,” le rispose con espressione cupa. “Mi addestro da solo da quando avevo otto anni – la soffitta di questa casa è piena di vecchie armi e manuali di allenamento. Anche tu sei nata per questo.” Grace esitò, e le tornò in mente un raro ricordo – i suoi genitori che lanciavano coltelli in una lastra appesa alla parete della loro casina di Alicante. Avevano combattuto contro i demoni, loro. Erano vissuti così, e morti così. Di certo non poteva essere tutta una sciocchezza, come affermato da Tatiana. Di certo non poteva essere un’esistenza priva di senso.
Jesse notò l’espressione strana che aveva in viso, ma non le fece pressioni perché condividesse con lui ciò che stava pensando. Andò invece avanti con il suo discorso. “E se un giorno ci attaccassero i demoni? Qualcuno dovrà pure proteggere la nostra famiglia.”
“Addestrerai anche me?” gli chiese Grace in fretta, e sul viso di suo fratello spuntò un sorriso che la fece scoppiare a lacrime, sopraffatta dall’improvvisa sensazione che qualcuno si stesse prendendo cura di lei. Che a qualcuno importasse di lei. Di appartenere a qualcosa di più grande.
***
Cominciarono con i coltelli. Non osavano allenarsi di giorno, ma quando dormiva, Tatiana si trovava abbastanza distante da non sentire i colpi delle lame che sbattevano nella rete di protezione. E Grace scoprì con sorpresa di essere brava con l’addestramento; imparava alla svelta. Dopo un paio di settimane, Jesse le diede un arco da caccia e una faretra fatta di un bellissimo cuoio conciato rosso – le chiese scusa perché nessuno dei due oggetti era nuovo, ma Grace sapeva che aveva rovistato in soffitta per trovarli, e che aveva passato settimane a pulirli e ripararli per lei, e questo era più importante di qualunque regalo costoso.
Cominciarono con le lezioni di tiro con l’arco. Era una prospettiva molto più pericolosa, che richiedeva che sgattaiolassero fuori nel mezzo della notte per allenarsi nel vecchio poligono dietro casa, quasi vicino alle mura. Grace si coricava vestita, attendeva che la luna fosse visibile dalla sua finestra e poi discendeva le buie rampe di scale per raggiungere il fratello. Jesse era un insegnante paziente, gentile e incoraggiante. Da piccola Grace non aveva mai pensato che in futuro avrebbe avuto un fratello, ma adesso passava ogni singolo giorno grata di averne uno – e non era solo la gratitudine doverosa che sentiva per sua madre.
Prima di andare a vivere da Tatiana, Grace non aveva mai capito quanto potente potesse essere il veleno della solitudine. Più i mesi passavano, più si rendeva conto che era stato proprio quell’isolamento a far impazzire sua madre adottiva. Avrebbe voluto amarla, ma Tatiana non permetteva che quel sentimento crescesse. La sua solitudine si era così distorta su se stessa da averla portata ad avere il terrore dell’amore, e a respingere l’affetto di chiunque eccetto Jesse. Grace aveva lentamente compreso che Tatiana da lei non desiderava amore. Voleva solo la sua lealtà.
Ma tutto quell’affetto doveva pur essere incanalato in qualche modo, o Grace sarebbe esplosa come un fiume che rompe una diga. Quindi riversò tutto il suo amore su Jesse. Jesse, che le aveva insegnato ad arrampicarsi sugli alberi, a parlare e leggere in francese, e che concludeva ogni giornata accanto al suo letto, a leggerle lavori che spaziavano dall’Eneide di Virgilio a L’Isola del Tesoro.
Quando la madre era distratta da altro, loro due si incontravano nello studio abbandonato in fondo al corridoio, dove c’erano scaffali di libri alti fino al soffitto su ogni parete e numerose poltrone ampie e rovinate. Jesse le aveva spiegato che anche quello faceva parte del loro addestramento, e quindi leggevano insieme. Grace non capiva perché Jesse fosse così gentile con lei, però. Forse aveva compreso sin da subito che Grace era la sua unica vera alleata e viceversa, e che la loro sopravvivenza reciproca dipendeva l’uno dall’altra. Separati sarebbero potuti cadere nella stessa fossa che aveva rivendicato Tatiana; insieme, invece, forse avrebbero persino prosperato.
Quando Grace aveva dieci anni, Jesse era riuscito a convincere la madre a permettergli finalmente di ricevere un Marchio. Era un’ingiustizia, le aveva fatto notare, vivere a Idris senza neanche una runa per la Vista. Si dava per scontato che chiunque vivesse lì la avesse, e il fatto che così non fosse si sarebbe potuto addirittura rivelare pericoloso, per lui. Tatiana si era incupita, ma alla fine si era arresa. Erano quindi giunti due Fratelli Silenti. Grace ricordava a stento la sua, di cerimonia delle rune, e vedere quelle figure sfregiate e fluttuanti lungo i corridoi bui della tenuta dei Blackthorn le aveva fatto accapponare la pelle. Si era però fatta coraggio, ed era rimasta con Jesse mentre un Fratello Silente gli disegnava una runa della Vista sul dorso della mano destra. Era lì a osservarlo sollevare la mano, guardarla con meraviglia, ringraziare a profusione i Fratelli.
Ed era lì quella notte, a vederlo morire.
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