Buonasera, cari Shadowhunters!
Dopo aver tradotto quasi incessantemente per due giorni, finalmente riesco a portarvi questa traduzione mastodontica. Si tratta infatti di ben due capitoli (+ una sorta di… bonus, chiamiamolo così) di Chain of Iron, il seguito de La Catena d’Oro che arriverà nelle librerie americane il prossimo 2 marzo – e, no, per il momento una data ufficiale italiana non c’è, ma teniamo le dita incrociate.
…ora. Tenete presente che si tratta di circa cinquanta pagine di libro, e che per caricarle il prima possibile sono state rilette MOLTO velocemente – eventuali errori verranno sistemati quanto prima! Morivamo dalla voglia di saziare la vostra curiosità, quindi mi sono sforzata di finire il prima possibile.
Vi auguriamo buona lettura, e speriamo che vi andrà di condividere i vostri commenti con noi: non potremo rispondere dandovi spoiler del romanzo, logicamente… ma ci farebbe piacere conoscere la vostra opinione e parlarne con voi (e magari linkarvi risposte di Cassie, qualora aveste domande su argomenti già noti!).
PS: qualora voleste deliziarvi con la versione originale, la trovate qui.
Per Rick Riordan. Grazie per avermi permesso
di utilizzare il nobile nome di Angelo.
Presto sentirete ancora parlare di me e
dei miei divertenti giochetti. Ho conservato
un po’ della roba rossa dall’ultimo lavoro
in una bottiglia di birra per scriverci,
ma è diventata densa come colla,
e non posso utilizzarla. L’inchiostro rosso
andrà bene lo stesso, spero.
– Jack Lo Squartatore
Era una sensazione strana e nuova avere di nuovo un corpo umano. Sentire il vento che gli scompigliava i capelli e i freddi granelli di neve che gli pungevano il viso mentre camminava lungo il selciato. Far oscillare le braccia e misurare l’ampiezza della sua falcata.
Era da poco sorto il sole, e le strade erano perlopiù deserte. Di quando in quando, notava un robivecchi spingere il suo carretto lungo la strada innevata, o una domestica con indosso grembiule e scialle che si affrettava verso il suo faticoso lavoro.
Mentre costeggiava un cumulo di neve, inciampò, aggrottando poi la fronte. Quel suo corpo era così debole. Aveva disperatamente bisogno di forza. Non poteva continuare senza.
Un’ombra scura gli passò di fronte. Un anziano in tuta da lavoro, con un cappello ben tirato sulla testa, che scivolava in un vicolo lontano dalla strada principale. Mentre lo osservava, l’uomo andò a sedersi su una cassa, poggiando la schiena contro la parete di mattoni. Dalla tasca della sua logora giacca tirò fuori una bottiglia di gin e svitò il tappo.
Lo seguì silenziosamente nel vicolo. Su entrambi i lati erano innalzate delle pareti, che oscuravano la debole luce del sole. L’anziano lo osservò con occhi annebbiati. “Che c’è che vuoi?”
Il coltello di adamas brillò alla flebile luce. Si conficcò nel petto dell’uomo, una e poi due volte. Il sangue schizzò, uno zampillo di goccioline rosse che tinse di scarlatto la neve sudicia.
L’assassino si mise a sedere sui talloni, prendendo fiato. L’energia della morte di quell’uomo, unica cosa utile che quella creatura mortale aveva da offrire, lo attraversò come aveva fatto il coltello. Si levò in piedi e sorrise al cielo bianco latte. Iniziava già a sentirsi meglio. Più robusto.
Presto sarebbe stato abbastanza forte da affrontare i suoi veri nemici. Mentre si voltava per lasciare il vicolo, sussurrò a bassa voce i loro nomi.
James Herondale.
Cordelia Carstairs.
E lei siede ancora, giovane
mentre la terra è vecchia,
e, contemplandosi sottilmente,
costringe gli uomini a guardare
la splendida ragnatela che sa
intrecciare, finché cuore e corpo e
vita non vi restano soggiogati.
Le rose e i papaveri sono i suoi fiori;
poiché quand’è che non si trova,
o Lilith, qualcuno disposto a farsi
catturare da profumo sparso e
dolci baci sparsi e dolce sonno?
– Dante Gabriel Rossetti, “Body’s Beauty”
Una fumosa nebbia invernale si era adagiata sulla città di Londra, allungando i suoi pallidi viticci lungo le strade e avvolgendo gli edifici con fosche ghirlande. Gettò un pallore grigiastro contro gli alberi in rovina mentre Lucie Herondale percorreva con la sua carrozza il lungo e trascurato viale che portava a Chiswick House, il cui tetto si levava oltre la nebbia come una cima himalayana superava le nubi.
Dopo avergli dato un bacio sul muso e aver sistemato una coperta sul suo garrese, Lucie lasciò il suo cavallo Balios ai piedi della scalinata all’ingresso e si diresse verso i resti del giardino terrazzato. Superò le statue rovinate e crepate di Virgilio e Sofocle, oramai ricoperte dalle lunghe spire delle piante rampicanti, i cui arti erano stati spezzati e abbandonati tra le erbacce. Altre statue erano parzialmente nascoste dagli alberi troppo cresciuti e le siepi da potare, come se fossero state divorate da un fitto fogliame.
Dopo aver superato un pergolato di rose abbattuto, Lucie raggiunse infine il vecchio capanno di mattoni del giardino. Il tetto era stato rimosso da tempo; Lucie aveva quasi la sensazione di essersi imbattuta nel rifugio abbandonato di un pastore nella brughiera. Dal suo interno si alzava persino una sottile spirale di fumo grigio. Se si fosse trovata ne La Bella Cordelia, ora un affascinante ma folle duca sarebbe arrivato barcollando attraverso la brughiera; nulla andava mai come nei romanzi, però.
Intorno al capanno poteva osservare dei piccoli cumoli di terra nei punti in cui lei e Grace, nel corso degli ultimi quattro mesi, avevano seppellito i risultati infruttuosi dei loro esperimenti – gli sfortunati corpi degli uccellini caduti e dei ratti e topi dilaniati dai gatti che avevano ripetutamente cercato di riportare in vita.
Nulla aveva ancora funzionato. E Grace non conosceva neanche tutta la storia. Restava all’oscuro del potere di Lucie di comandare i morti. Non sapeva che Lucie aveva tentato di ordinare a quei piccoli corpi di risorgere, che si era protesa dentro di loro alla ricerca di qualcosa da riportare nel mondo dei vivi. Però non funzionava mai. Qualunque fosse la parte di loro che Lucie avrebbe forse potuto comandare era svanita con le loro morti.
Non aveva detto nulla di questo a Grace.
Scrollò filosoficamente le spalle e si diresse verso la massiccia lastra di legno che faceva da porta – si era talvolta chiesta quale senso avesse avere una porta su un edificio privo di tetto –, bussando col loro codice segreto: uno due, uno due.
Sentì all’istante qualcuno che attraversava la stanza e toglieva il catenaccio, e poi la porta si aprì. Sull’uscio c’era Grace Blackthorn, col viso rigido e serio. Persino nella nebbia, i suoi capelli, sciolti lungo le spalle, rilucevano di un luccichio argenteo. “Sei venuta,” le disse, suonando più sorpresa che compiaciuta.
“Te l’avevo detto.” Lucie la superò. Il capanno era composto da un’unica stanza con un pavimento di terra battuta, ora parzialmente congelata.
Contro la parete su cui si trovava la spada di famiglia dei Blackthorn, che pendeva da dei ganci di metallo forgiati con fare grossolano, era stato spinto un tavolo. Lì avevano costruito un laboratorio di fortuna: c’erano file di alambicchi e bottiglie di vetro, un mortaio e un pestello, oltre a dozzine di provette. Il resto dello spazio era occupato da un assortimento di pacchetti e barattoli, alcuni aperti, altri svuotati e raccolti in una pila.
A fianco al tavolo c’era un fuoco acceso direttamente sul terreno, la fonte di quel fumo che fuggiva dal tetto assente. Erano fiamme di un silenzio innaturale, che non nascevano da ciocchi di legno ma da un cumulo di pietre, e risalivano in avide vampate verdognole come per consumare il calderone di ferro sospeso da un gancio sopra al fuoco. Al suo interno sobbolliva un infuso nero che odorava al contempo di terra e sostanze chimiche.
Lucie si diresse lentamente verso un secondo tavolo più ampio. Sopra era stata adagiata una bara. Attraverso il coperchio di vetro poteva vedere Jesse, così come le era apparso l’ultima volta che erano stati insieme – camicia bianca, capelli neri che gli sfioravano dolcemente la nuca. Le sue palpebre erano pallide mezzelune.
Lucie non si era limitata agli uccelli, i pipistrelli e i topi. Aveva cercato di ordinare anche a lui di tornare in vita, sebbene avesse potuto provarci solo nei brevi attimi in cui Grace si allontanava per recuperare qualcosa, lasciandola da sola con il corpo di Jesse. Era andata anche peggio che con gli animali. A differenza di loro, Jesse non era vuoto – le riusciva di sentire qualcosa dentro di lui: una vita, una forza, un’anima. Ma di qualunque cosa si trattasse, era ben ancorata in quello spazio tra vita e morte, e neanche lei poteva spostarla. Anche solo provarci la faceva sentire male e indebolita, come se stesse compiendo un’azione sbagliata.
“Non ero certa che avessi ancora intenzione di venire,” ribatté bruscamente Grace. “Aspettavo da un’eternità. Hai trovato lo stramonio?”
Lucie tirò fuori dalla tasca il piccolo pacchetto. “Non è stato semplice allontanarmi. E non posso restare a lungo. Stasera devo vedermi con Cordelia.”
Grace prese la confezione e la aprì. “Perché domani ci sarà il matrimonio? E cos’avrebbe a che fare con te?”
Lucie le lanciò un’occhiataccia, ma l’altra ragazza sembrava genuinamente non capire. Spesso Grace non sembrava comprendere perché le persone compissero determinate azioni, quando la risposta era: perché è così che si comportano gli amici, oppure: perché è quello che fai per le persone a cui tieni. “Sono la suggenes di Cordelia,” le rispose. “La accompagnerò lungo la navata, ma il mio compito è anche di fornirle aiuto e sostegno prima della cerimonia. Stanotte uscirò con lei per…”
Whoosh. Grace aveva rovesciato il contenuto nel calderone. Un lampo di fiamme si protese verso l’alto, poi ci fu una nuvola di fumo. Odorava di aceto. “Non c’è bisogno che tu me lo dica. A Cordelia non piaccio.”
“Non parlerò di Cordelia con te,” le rispose Lucie, tossendo un po’.
“Beh, neanche a me piacerei, al posto suo,” continuò Grace. “Ma non siamo obbligate a discutere di niente. Non ti ho chiamata qui per chiacchierare.”
Abbassò lo sguardo sul calderone. Nebbia e fumo si mescolavano all’interno della piccola stanza, circondando Grace in un alone nebuloso. Lucie sfregò tra loro le mani guantate, e il suo cuore batté con furia quando Grace cominciò a dire: “Hic mortui vivunt. Igni ferroque, ex silentio, ex animo. Ex silentio, ex animo! Resurget!”
Mentre Grace cantilenava, il miscuglio prese a bollire più rapidamente, le fiamme cominciarono a sibilare, a levarsi sempre più in alto, raggiungendo il calderone. Un po’ della mistura colò scoppiettando oltre il bordo del recipiente, schizzando sul pavimento. Lucie si ritrasse istintivamente quando steli verdi presero a spuntare dal terreno, riempiendosi di gambi e foglie e boccioli mentre raggiungevano quasi l’altezza delle sue ginocchia.
“Sta funzionando!” esclamò a fatica. “Sta funzionando davvero!”
Un rapido spasmo di delizia contrasse il volto generalmente inespressivo di Grace. Si diresse verso la bara, e Jesse…
Rapidi come erano cresciuti, i fiori appassirono e si staccarono dai gambi. Era come osservare il tempo accelerare. Lucie guardò impotente le foglie che cadevano, e gli steli rinsecchirsi e crepitare e poi spezzarsi sotto al loro stesso peso.
Grace restò immobile, lo sguardo puntato sui fiori morti sul pavimento. Si voltò verso la bara – ma Jesse non si era mosso.
Certo che non si era mosso.
Le sue spalle si irrigidirono per la delusione.
“La prossima volta chiederò a Christopher dei campioni più freschi,” disse Lucie. “Oppure reagenti più forti. Dev’esserci qualcosa che non stiamo facendo nel modo giusto.”
Grace si diresse verso la bara del fratello. Posò un palmo contro il vetro. Le sue labbra si mossero, come se stesse sussurrando qualcosa; Lucie non riuscì a decifrare le sue parole. “Il problema non è la qualità degli ingredienti,” le rispose con voce sottile e gelida. “Il problema è che ci stiamo affidando troppo alla scienza. Attivatori, reagenti – la scienza è sfortunatamente limitata davanti a imprese come quella che stiamo tentando.”
“Come fai a saperlo?”
Grace la guardò con freddezza. “So che mi credi una stupida perché non ho mai avuto precettori,” disse, “ma ho avuto modo di leggere qualche libro mentre mi trovavo a Idris. In effetti, ho terminato quasi tutta la libreria.”
Lucie fu costretta ad ammettere a se stessa che Grace aveva almeno parzialmente ragione – non aveva idea che provasse interesse per la lettura, o per qualcosa che non fosse torturare gli uomini e riportare Jesse in vita. “Se non ci affidiamo alla scienza, qual è la tua proposta?”
“Quella ovvia. La magia.” Grace le si rivolse come se stesse spiegando qualcosa a un bambino. “Non questo – questo gioco infantile, non lavorare su degli incantesimi presi da un libro che mia madre non si è neppure data la pena di tenere nascosto.” Sputò praticamente le ultime parole con disgusto. “Dobbiamo trarre potere dall’unico posto dove si può trovare.”
Lucie deglutì. “Intendi la negromanzia. Vuoi prendere il potere della morte e utilizzarlo per fare magie sui morti.”
“Alcuni direbbero che questo tipo di magia è malvagia. Ma io la chiamo necessaria.”
“Beh, io invece la definirei malvagia,” ribatté Lucie, incapace di nascondere la frustrazione nella sua voce. Grace sembrava aver preso una decisione senza consultarla, cosa di certo contraria allo spirito della loro collaborazione. “E non voglio fare nulla di malvagio.”
Grace scosse il capo con sprezzo, come se Lucie stesse facendo tante storie per nulla. “Dobbiamo parlarne con un negromante.”
Lucie si strinse in se stessa. “Un negromante? Decisamente no. Anche se riuscissimo a trovarne uno, il Conclave ce lo vieterebbe.”
“E c’è un motivo per questo,” ribatté in tono brusco Grace, sollevando le sue gonne. Sembrava pronta a uscire altezzosamente fuori dal capanno. “Ciò che dovremo fare non è completamente buono. Non… nel modo in cui la maggior parte delle persone pensa al bene, quantomeno. Ma lo sapevi già, Lucie, quindi puoi anche smetterla di fingere di essere tanto meglio di me.”
“Grace, no.” Lucie si mosse per bloccare l’uscita. “Non voglio farlo, e penso che neanche Jesse lo vorrebbe. Non possiamo parlarne con uno stregone? Qualcuno di cui il Conclave si fida?”
“Il Conclave potrà anche fidarsi di loro, ma io no.” Lo sguardo di Grace bruciava. “Ho deciso che avremmo dovuto lavorare insieme perché a Jesse sembri piacere. Ma conosci mio fratello da pochissimo tempo, e non l’hai mai incontrato da vivo. Difficilmente puoi dirti un’esperta. Io sono sua sorella, e lo riporterò indietro – e farò qualunque cosa per riuscirci, e in qualunque modo. Lo capisci, Lucie?” Grace fece un respiro profondo. “Questo è il tuo momento di decidere se tieni più alla preziosa sacralità della tua vita che a restituire a mio fratello la sua.”
*
Cordelia Carstairs trasalì mentre Risa fissava più energicamente il fermaglio di tartaruga. Andò ad ancorare una pesante crocchia di capelli rosso scuro, che la cameriera personale l’aveva convinta ad acconciare in uno stile elaborato che, giurava lei, era molto alla moda.
“Non c’era bisogno che ti dessi già stasera tutta questa pena,” aveva provato a protestare Cordelia. “Si tratta solo di una festa in slitta. I miei capelli diventeranno in ogni caso un disastro, non importa quante forcine e fermagli tu ci metta dentro.”
L’occhiata di disapprovazione dell’altra aveva prevalso. Cordelia supponeva Risa fosse convinta che avrebbe dovuto sforzarsi di avere un bell’aspetto davanti al suo fidanzato. Del resto, Cordelia stava per sposare James Herondale, un buon partito per i criteri di qualunque società, Shadowhunter o mondana che fosse – bello, ricco, con ottime connessioni e un carattere gentile.
Non sarebbe servito a niente dire a Risa che il suo aspetto non avrebbe avuto alcuna importanza. A James non sarebbe importato se si fosse presentata con un abito per andare a teatro, o anche nuda, del resto. Ma non ci avrebbe guadagnato nulla dal provare a spiegarlo a Risa. In effetti, dirlo a chiunque sarebbe stato troppo rischioso.
“Dokhtare zibaye man, tou ayeneh knodet ra negah kon,” rispose Risa, sollevando uno specchietto d’argento per Cordelia. Mia bellissima figlia, guarda nel vetro.
“Hanno un aspetto adorabile, Risa,” fu costretta ad ammettere Cordelia. I fermagli di perla risaltavano contro i suoi capelli di un cupo rosso rubino. “Ma come potrai mai fare meglio di così, domani?”
Risa si limitò a farle un occhiolino. Perlomeno qualcuno aspettava con ansia il giorno successivo, si disse Cordelia. Ogni volta che pensava al suo matrimonio, le veniva voglia di saltar fuori dalla finestra.
Domani si sarebbe seduta per l’ultima volta in quella stanza, mentre sua madre e Risa le intrecciavano fiori di seta tra i lunghi e spessi capelli. Domani si sarebbe dovuta mostrare come una sposa felice tanto quanto era elaborato il suo abito. Domani, se avesse avuto abbastanza fortuna, la maggior parte degli ospiti del matrimonio si sarebbe fatta distrarre dal vestito. Si può sempre sperare.
Rise le diede un lieve colpetto sulla spalla. Cordelia si alzò con fare obbediente, prendendo un ultimo respiro profondo prima che Risa le stringesse i lacci del corsetto, sollevandole i seni e raddrizzandole la schiena. La natura del corsetto, pensò Cordelia con irritazione, era di ricordare costantemente a tutte le donne quanto la forma dei loro corpi differisse dall’ideale impossibile della società.
“Basta così!” protestò mentre le stecche di balena le si conficcavano nella pelle. “Speravo di riuscire a mangiare durante la festa, sai.”
Risa alzò gli occhi al cielo. Sollevò un abito di velluto verde, e Cordelia scivolò al suo interno. Risa le fece scorrere le maniche lunghe e attillate lungo le braccia, sistemando il sottile pizzo bianco dei polsini e della scollatura. Poi giunse il momento di abbottonare ognuno dei minuscoli bottoncini che le correvano lungo il retro del vestito. Il taglio era stretto; senza corsetto, Cordelia non sarebbe mai riuscita a metterlo. L’anello degli Herondale, segno visibile del suo fidanzamento, le scintillò sulla mano sinistra quando sollevò il braccio per permettere a Risa di sistemarle Cortana sulla schiena.
“Dovrei sbrigarmi a scendere,” disse Cordelia mentre Risa le porgeva una borsetta di seta e un manicotto per scaldarsi le mani. “James è raramente in ritardo.”
Risa annuì bruscamente, cosa che per lei equivaleva a un affettuoso abbraccio di arrivederci.
Era la verità, pensò Cordelia, affrettandosi giù per le scale. James era davvero raramente in ritardo. Era compito dei fidanzati accompagnare le signorine a feste e cene, prendere loro limonate e ventagli ed essere generalmente pieni di premure. James aveva interpretato il ruolo alla perfezione. Per tutta la stagione le aveva fedelmente fatto compagnia durante ogni sorta di eccessivamente noioso evento dell’Enclave; al di fuori di quelle occasioni, però, l’aveva visto a stento. A volte raggiungeva lei e i suoi amici per delle escursioni davvero godibili – pomeriggi dalla Taverna del Diavolo, tè da Anna –, ma pure in quei contesti sembrava sempre distratto e preoccupato. Avevano avuto poche possibilità di discutere del loro futuro, e Cordelia non era comunque certa di cosa avrebbe detto se l’opportunità ci fosse stata.
“Layla?”
Cordelia aveva raggiunto l’ingresso piastrellato con stelle e spade di casa sua, e sulle prime non notò nessuno nei paraggi. Dopo un attimo si rese però conto che sua madre, Sona, stava in piedi davanti alla finestra e aveva scostato una delle tende con una mano sottile. L’altra era poggiata sul suo ventre arrotondato.
“Sei davvero tu,” continuò Sona. Cordelia non riuscì a evitare di notare che le ombre scure sotto agli occhi della madre sembravano essersi accentuate. “Dov’è che avevi detto che saresti andata?”
“Alla festa in slitta dei Pounceby, a Parliament Hill,” le rispose. “I Pounceby sono tremendi, davvero, ma Alastair ci andrà, e ho pensato che tanto valeva che mi distraessi dal pensiero di domani.”
Le labbra di Sona si piegarono in un sorriso. “È piuttosto normale sentirsi nervosi prima di un matrimonio, Layla joon. Ero terrorizzata, la notte prima di sposare tuo padre. Sono quasi scappata con un treno del latte diretto a Costantinopoli.”
Cordelia prese un breve respiro affilato, e il sorriso di sua madre vacillò. Oh, no, pensò. Era passata una settimana dal giorno in cui suo padre, Elias Carstairs, era stato rilasciato dalla Basiliade, l’ospedale degli Shadowhunters a Idris. Era rimasto lì per mesi – più a lungo di quanto avessero previsto – per curare il suo problema con l’alcool, cosa che tutti e tre i restanti membri della famiglia Carstairs sapevano, ma non citavano mai.
Sarebbe dovuto tornare a casa già cinque giorni prima. Ma da lui non avevano ricevuto messaggi, se non una succinta lettera spedita dalla Francia. Nessuna promessa di tornare in tempo per il matrimonio di Cordelia. Era una situazione assai triste, e resa ancora più orribile dal fatto che né sua madre né suo fratello Alastair fossero disposti a parlarne.
Cordelia fece un respiro profondo. “Mâmân. So che speri ancora che nostro padre arrivi in tempo per la cerimonia…”
“Non lo spero; lo so,” rispose Sona. “Non importa cosa lo abbia trattenuto, non si perderà il matrimonio della sua unica figlia.”
Cordelia quasi scosse il capo per lo stupore. Com’era possibile che si fidasse di lui a quel modo? Suo padre aveva saltato così tanti compleanni, e persino la cerimonia della prima runa di Cordelia, a causa della sua “malattia”. E quella stessa malattia era il motivo per cui era stato infine arrestato e spedito alla Basiliade di Idris. Si supponeva che adesso stesse meglio, ma la sua assenza non sembrava promettere bene.
Si sentì un rumore di stivali lungo le scale, e poi Alastair comparve nell’ingresso, i capelli scuri scompigliati. Stava benissimo con la sua nuova giacca invernale in tweed, benché sul volto avesse un cipiglio.
“Alastair,” lo chiamò Sona. “Stai andando anche tu a questa festa in slitta?”
“Non mi hanno invitato.”
“Non è vero,” ribatté Cordelia. “Alastair, avevo deciso di andarci solo perché ci saresti stato tu!”
“E io ho deciso che il mio invito è andato sfortunatamente smarrito prima di raggiungermi,” rispose Alastair, con un cenno sprezzante della mano. “Posso divertirmi da solo, madre. Alcuni di noi hanno degli impegni e non possono uscire a far baldoria a ogni ora.”
“Ma insomma, voi due,” li rimproverò la madre scuotendo il capo. A Cordelia sembrò davvero ingiusto. Lei si era solo limitata a correggere la bugia di Alastair.
Sona si portò le mani all’altezza dei reni e fece un sospiro. “Ho bisogno di parlare con Risa riguardo a domani. C’è ancora così tanto da fare.”
“Dovresti riposare,” le urlò dietro Alastair, mentre la madre si allontanava lungo il corridoio, diretta in cucina. Una volta che fu sparita dalla vista, Alastair si voltò verso Cordelia con espressione burrascosa. “Ancora? Perché deve tormentarsi in questo modo?”
Cordelia scrollò le spalle, impotente. “Lo ama.”
Ad Alastair sfuggì un suono sgraziato. “Chi! Khodah margam bedeh,” esclamò, cosa che a Cordelia parve parecchio maleducata.
“L’amore non ha sempre senso,” gli fece notare, e a quel punto Alastair distolse svelto lo sguardo. Erano mesi che non faceva il nome di Charles davanti alla sorella, e sebbene gli fossero arrivate delle lettere scritte con quella sua grafia meticolosa, Cordelia ne aveva trovate molte nel cestino, ancora sigillate. Dopo un attimo, aggiunse: “Però vorrei comunque che ci mandasse un messaggio per farci quantomeno sapere che sta bene – per il bene di mamma.”
“Tornerà con i suoi tempi. E nel peggior momento possibile, se lo conosco come credo.”
Cordelia accarezzò con un dito la morbida lana di agnello del suo manicotto. “Non vuoi che ritorni, Alastair?”
L’espressione del fratello era poco chiara. Aveva passato anni a proteggere Cordelia dalla verità, inventando delle scuse per gli “attacchi di malattia” del padre e le sue frequenti assenze. Era passato qualche mese da quando Cordelia aveva scoperto il costo emotivo di quegli interventi di Alastair, le cicatrici invisibili che il fratello si era sforzato così diligentemente di nascondere.
Lui parve sul punto di rispondere, ma al di fuori alla finestra echeggiò il suono degli zoccoli di un cavallo, lo scalpiccio attutito dalla nevicata ancora in corso. La sagoma scura di una carrozza si fermò davanti al lampione di fronte a casa loro. Alastair scostò la tenda, aggrottando le sopracciglia.
“È la carrozza dei Fairchild,” osservò. “A James non andava di venire a prenderti, quindi ha mandato il suo parabatai?”
“Sei ingiusto,” rispose con fare brusco Cordelia. “E lo sai bene.”
Alastair esitò. “Suppongo di sì. Herondale è stato abbastanza diligente.”
Cordelia osservò Matthew Fairchild discendere con leggerezza dalla carrozza. Non riuscì a sopprimere una fitta di paura – e se James fosse andato nel panico e avesse mandato Matthew a rompere le cose con lei la sera prima del matrimonio?
Non essere ridicola, si disse in tono fermo. Mentre risaliva i gradini d’ingresso, Matthew si era messo a fischiettare. Il terreno era bianco per la neve, segnato qui e là da impronte di stivali. I fiocchi avevano già cominciato ad accumularsi sulle spalle del suo pastrano col colletto di pelliccia. Tra i suoi capelli biondi scintillavano dei cristalli, e i suoi zigomi alti erano avvampati per il freddo. Sembrava un angelo dipinto da Caravaggio e spolverato di neve. Di certo non avrebbe fischiettato se fosse stato portatore di cattive notizie, no?
Cordelia aprì la porta e vide Matthew che si toglieva la neve dagli stivali balmoral. “Salve, mia cara,” la salutò. “Sono venuto a portarti su una grande collina, da cui entrambi discenderemo sfrecciando su delle tavole di legno traballanti e fuori controllo.”
Cordelia gli sorrise. “Sembra meraviglioso. E poi?”
“Inspiegabilmente,” le rispose, “risaliremo di nuovo in cima per ripetere l’azione. Dicono che sia una sorta di follia legata alla neve.”
“Dov’è James?” lo interruppe Alastair. “Sai, quello di voi che si sarebbe davvero dovuto trovare qui.”
Matthew guardò Alastair con disprezzo. Cordelia provò una familiare fitta al petto. Era così che andavano le cose, ora, ogni volta che Alastair interagiva con uno qualsiasi degli Allegri Compagni. Qualche mese prima, di punto in bianco, erano tutti diventati ancora più furiosi con Alastair, e Cordelia non aveva idea del perché. Non riusciva a trovare il coraggio di chiederlo. “James è stato trattenuto da affari importanti.”
“Che affari?” gli domandò Alastair.
“Non i tuoi,” ribatté Matthew, chiaramente compiaciuto di sé. “Te la sei cercata, eh?”
Gli occhi neri di Alastair scintillarono. “Farai meglio a non condurre mia sorella in nessun pericolo, Fairchild,” disse. “So che tipo di compagnia frequenti tu.”
“Alastair, smettila,” si inserì Cordelia. “Ora – hai davvero intenzione di saltare la festa dei Pounceby, o stavi solo punzecchiando nostra madre? Nel primo caso, ti andrebbe di venire in carrozza con me e Matthew?”
Lo sguardo di Alastair sfrecciò su Matthew. “Perché,” gli chiese, “non ti sei neanche messo un cappello?”
“E coprire questi capelli?” Matthew indicò le ciocche dorate con un gesto plateale. “Offuscheresti mai il sole?”
L’espressione di Alastair lasciava intendere che nessun quantitativo di occhi alzati al cielo sarebbe stato una risposta sufficiente. “Andrò a fare una passeggiata.”
Senza aggiungere altro, si allontanò svelto nella notte nevosa, l’uscita smorzata dalla neve che inghiottiva i suoi passi.
Cordelia fece un sospiro e discese i gradini con Matthew. South Kensington era una favola di case bianche ricoperte di ghiaccio scintillante; il bagliore dei lampioni si smorzava in aloni di nebbia ammorbidita dalla neve. “Ho la sensazione di scusarmi sempre al posto di Alastair. La scorsa settimana ha fatto piangere il lattaio.”
Matthew la aiutò a sedersi. “Non scusarti mai al posto di Alastair con me. Mi offre un avversario per affilare il mio sarcasmo.”
Le si sistemò accanto e chiuse la pesante porta della carrozza. Il suo interno foderato di seta era reso confortevole da morbidi cuscini e tendine di velluto alle finestre. Cordelia si appoggiò contro lo schienale; la manica del pastrano di Matthew le accarezzava il braccio con fare rassicurante.
“Ho la sensazione di non averti visto per secoli, Matthew,” gli disse, felice di cambiare argomento. “Ho sentito dire che tua madre è tornata da Idris, giusto? E Charles da Parigi?” In quanto Console, la madre di Matthew, Charlotte, era spesso lontana da Londra. Suo figlio Charles, fratello di Matthew, aveva accettato una posizione da apprendista all’Istituto di Parigi, dove stava allenando le sue doti diplomatiche: sapevano tutti che sperava un giorno di diventare il prossimo Console.
Matthew si passò le dita tra i capelli, rimuovendo i frammenti di ghiaccio. “Conosci mia madre – non appena uscita dalla carrozza, è già di nuovo via. E ovviamente Charles è subito corso a casa per vederla. Per ricordare all’Istituto di Parigi quanto lui sia vicino al Console, quando lei dipenda dai suoi consigli. Per parlare pomposamente a nostro padre e a Martin Wentworth. Quando sono uscito di casa, aveva appena interrotto la loro partita di scacchi per cercare di trascinarli in una discussione sulle politiche dei Nascosti in Francia. Wentworth aveva un’aria un po’ disperata, in verità – probabilmente stava pregando che Christopher causasse un’altra esplosione in laboratorio e gli desse la possibilità di scappare.”
“Un’altra esplosione?”
Matthew fece un gran sorriso. “Kit ha quasi fatto esplodere le sopracciglia di Thomas con il suo ultimo esperimento. Sostiene di essere vicino a far prendere fuoco alla polvere da sparo anche in presenza delle rune, ma Thomas non ha più sopracciglia da offrire alla scienza.”
Cordelia si sforzò di pensare a qualcosa da dire sulle sopracciglia di Thomas, ma non le riuscì. “D’accordo,” esclamò, circondandosi con le braccia. “Mi arrendo. Dov’è James? È scappato a gambe levate in Francia per la paura? Il matrimonio è saltato?”
Matthew prese una fiaschetta d’argento dal cappotto e ne bevve un sorso prima di rispondere. Stava tentando di guadagnare del tempo? Aveva un’aria un po’ preoccupata, si disse Cordelia, sebbene l’ansia e Matthew fossero cose che raramente andavano a braccetto. “Colpa mia, temo,” ammise. “Beh, mia e del resto degli Allegri Compagni, in verità. All’ultimo minuto, abbiamo deciso che non potevamo permettere a James di sposarsi senza organizzargli una festa, ed è compito mio assicurarmi che tu non scopra nulla dello scandaloso evento.”
Cordelia si sentì invadere da un’ondata di sollievo. James non la stava abbandonando. Ovviamente no. Non l’avrebbe mai fatto. Era di James che si stava parlando.
Raddrizzò le spalle. “Dal momento che mi hai rivelato che l’evento sarà scandaloso, non hai forse fallito la tua missione?”
“Niente affatto!” Matthew bevve un altro sorso dalla fiaschetta prima di riporla in tasca. “Ti ho detto solo che James trascorrerà la vigilia del suo matrimonio insieme ai suoi amici. Per quanto ne sai, potremmo bere del tè o studiare la storia delle fate in Baviera. E io devo assicurarmi che tu non scopra altrimenti.”
Cordelia non riuscì a sopprimere un sorriso. “E come pensi di farlo?”
“Conducendoti a un evento scandaloso tutto tuo, ovviamente. Non pensavi che saremmo davvero andati alla festa di Pounceby, giusto?”
Cordelia scostò la tenda del finestrino e guardò fuori nella notte. Al posto delle strade fiancheggiate di alberi di Kensington, ricoperte di neve invernale, la carrozza era giunta sul limitare esterno di West End. Le strade erano strette e fitte di nebbia, e folle di persone gironzolavano qui e là, parlando in una dozzina di lingue diverse e riscaldandosi le mani su fuochi in barili dell’olio.
“Soho?” chiese incuriosita. “Ma cosa – l’Hell Ruelle?”
Matthew inarcò un sopracciglio. “Dove, se no?” L’Hell Ruelle era un locale notturno e salotto per Nascosti, aperto solo un paio di notti a settimana all’interno di un edificio dall’aria esternamente indefinita su Berwick Street. Cordelia c’era già stata due volte, mesi prima. Entrambe le visite erano state memorabili.
Lasciò ricadere la tendina e si voltò verso Matthew, che la osservava con attenzione. Finse di soffocare uno sbadiglio. “Sul serio, di nuovo il Ruelle? Ci sono stata così spesso che ormai lo considero una sorta di club di bridge per signore. Conoscerai di certo un posto più scandaloso, no?”
Matthew ghignò. “Mi stai chiedendo di portarti alla Locanda del Licantropo Rasato?”
Cordelia lo colpì con il manicotto. “Non è un posto reale. Mi rifiuto di crederci.”
“Credimi quando ti dico che pochi posti sono più scandalosi del Ruelle, e non ce n’è nessuno dove potrei portarti e poi aspettarmi di venir perdonato da James,” le rispose Matthew. “Corrompere la sposa del proprio parabatai non è considerato leale.”
La risata di Cordelia si spense; all’improvviso si sentì davvero stanca. “Oh, Matthew, sai benissimo che è un matrimonio finto,” gli disse. “Non importa cosa faccio. A James non interesserà.”
Matthew parve esitare. Cordelia aveva spezzato la finzione, e lui non se l’era chiaramente aspettato. Non restava mai in silenzio per troppo tempo, però. “Sì che gli interessa,” ribatté mentre la carrozza svoltava in Berwick Street. “Non, forse, nel modo in cui immaginano tutti. Ma non penso che sarà difficile essere sposata con James, e poi durerà solo un anno, no?”
Cordelia chiuse gli occhi. Era quello l’accordo che aveva stretto con James: un anno di matrimonio, per salvare la reputazione di entrambi. E poi lei avrebbe chiesto il divorzio. Si sarebbero lasciati senza rancori e sarebbero rimasti amici.
“Sì,” confermò. “Solo un anno.”
La carrozza si fermò proprio sotto un lampione, la cui luce giallastra illuminò il volto di Matthew. Cordelia provò un piccolo colpo al cuore. Matthew della verità sapeva solo quanto conoscevano tutti gli altri, James incluso, ma a volte nei suoi occhi c’era qualcosa – qualcosa che le faceva temere per un momento che lui nutrisse sospetti sull’ultimo pezzo del puzzle, su quella parte che Cordelia non nascondeva solo a se stessa. Non avrebbe sopportato di venir compatita. Non avrebbe sopportato che qualcuno sapesse quanto era disperatamente innamorata di James, e quanto desiderasse che quel matrimonio fosse vero.
Matthew spalancò la porta della carrozza, svelando il marciapiede di Berwick Steet, lucido per la neve sciolta. Saltò fuori e poi, dopo aver brevemente parlato con l’autista, si sporse per aiutare Cordelia a scendere.
Per raggiungere l’Hell Ruelle bisognava attraversare lo stretto vicolo di Tyler’s Court. Matthew prese il braccio di Cordelia e lo infilò sotto al suo, e insieme si fecero strada tra le ombre. “Stavo pensando che,” disse, “anche se noi sappiamo la verità, il resto dell’Enclave non la conosce. Ricordi di certo che piaghe erano quando sei arrivata a Londra – e ora, per quanto riguarda quel mucchio di altezzosi, stai per sposare uno degli scapoli migliori del paese. Guarda Rosamund Wentworth. Si è andata a fidanzare con Thoby Baybrook solo per dimostrare a tutti che non sei l’unica a stare per sposarsi.”
“Sul serio?” Cordelia era enormemente divertita; non aveva mai pensato di avere qualcosa a che fare con l’improvviso annuncio di Rosamund. “Ma suppongo che quel matrimonio sia d’amore.”
“Dico solo che il tempismo della cosa solleva delle domande.” Matthew agitò una mano. “Il punto è che puoi festeggiare di essere l’invidia di tutta Londra. Ogni persona che si è comportata in modo beffardo con te quando sei arrivata – ognuno di quelli che hanno ridacchiato per via di tuo padre, o mormorato dicerie – si starà mangiando il cuore per l’invidia, desiderando di essere te. Goditela.”
Cordelia ridacchiò. “Trovi sempre la soluzione più decadente per ogni problema.”
“Credo che la decadenza sia un’opinione preziosa da tenere sempre in considerazione.” Avevano raggiunto l’ingresso dell’Hell Ruelle, e attraverso la porta privata erano entrati in uno stretto corridoio decorato da pesanti arazzi. Sembrava essere stato decorato per Natale (sebbene alla festività mancassero ancora settimane); gli arazzi erano adornati da rami verdi carichi di rose bianche e papaveri rossi.
Matthew e Cordelia si fecero strada attraverso un labirinto di piccoli salotti fino all’ottagonale sala principale del Ruelle. Era stata trasformata; alberi scintillanti, con rami nudi e tronco dipinti di bianco, erano stati sistemati a intervalli regolari e agghindati con ghirlande verde scuro e ciondolanti sfere di vetro rosso. Un murale luminoso ritraeva una scena silvestre: un ghiacciaio fiancheggiato da un boschetto di pini con le punte innevate, e dei gufi che sbucavano nelle ombre tra la vegetazione. Una donna dai capelli neri e il corpo da serpente, avvolta intorno a un albero colpito da un fulmine; le sue squame brillavano di vernice dorata. Nella parte frontale della stanza stava Malcolm Fade, il Sommo Stregone di Londra dagli occhi viola, apparentemente impegnato a condurre un gruppo di fate durante un ballo dall’aria complicata.
Il pavimento era coperto da cumuli di quella che sembrava neve, ma che, osservati più da vicino, si rivelarono fatti di pezzettini di carta tagliati con accuratezza; danzando, i Nascosti li calciavano in giro. Non tutti erano impegnati a ballare, ovviamente: molti degli ospiti del salotto se ne stavano ammassati intorno a tavolini circolari, le dita strette attorno a tazze di rame piene di vino speziato. Poco distante, un licantropo e una fata sedevano vicini, litigando riguardo alle regole della casa irlandesi. Cordelia provava sempre meraviglia per la varietà di Nascosti che frequentava l’Hell Ruelle; le ostilità che venivano portate avanti nel mondo tra vampiri e licantropi, o tra le diverse Corti delle fate, lì sembravano sospese in favore dell’arte e della poesia. Riusciva a capire perché a Matthew quel posto piacesse così tanto.
“Bene, bene, ecco la mia Shadowhunter preferita,” chiamò con fare strascicato una voce familiare. Voltandosi, Cordelia riconobbe Claude Kellington, il giovane musicista licantropo che supervisionava l’intrattenimento al Ruelle. Era seduto a tavola insieme a una fata dai lunghi capelli verdeazzurri, intenta a guardare Cordelia con curiosità. “Noto che hai portato con te Fairchild,” aggiunse Kellington. “Puoi convincerlo a essere più divertente? Non balla mai.”
“Claude, ti sono fondamentale per gli spettacoli,” rispose Matthew. “Il mio è un ruolo insostituibile: il pubblico entusiasta.”
“Beh, portami altri intrattenitori come questa ragazza qui,” commentò Kellington, indicando Cordelia. “Se mai dovessi incontrarne altri.”
A Cordelia non poté non tornare in mente lo spettacolo che aveva lasciato a Kellington una così buona impressione. Aveva ballato sul palco del Ruelle, in un modo così scandaloso da sconvolgere anche se stessa. Tentò di non arrossire, dandosi piuttosto l’aria di quel genere sofisticato di ragazza che sarebbe pronto a ballare come Salomè in un batter d’occhio.
Fece un cenno verso i grossi rami addobbati. “Anche l’Hell Ruelle celebra il Natale, dunque?”
“Non proprio.” Cordelia si voltò, trovandosi davanti Hypatia Vex, patrocinatrice dell’Hell Ruelle. Sebbene Malcolm Fade fosse il proprietario, gli ospiti venivano invitati da Hypatia; chiunque lei disapprovasse non sarebbe neanche riuscito a passare attraverso la porta. Indossava uno scintillante abito rosso, una peonia dorata era stata sistemata nella sua nuvola di capelli scuri. “Il Ruelle non celebra il Natale. I suoi avventori possono ovviamente fare ciò che preferiscono nelle loro case, ma a dicembre il Ruelle omaggia piuttosto la sua patrona con la Festum Lamia.”
“La sua patrona? Parli di… te?” chiese Cordelia.
C’era un pizzico di divertimento nei peculiari occhi di Hypatia, con quelle loro pupille a forma di stella. “La sua patrona cosmica. La nostra antenata, chiamata da alcuni madre degli stregoni, e da altri la Madre dei Demoni.”
“Ah,” commentò Matthew. “Lilith. Ora che me lo fai notare, ci sono molti più gufi del solito nelle decorazioni.”
“I gufi sono uno dei suoi simboli,” confermò Hypatia, facendo scorrere una mano lungo lo schienale della sedia di Kellington. “Durante i primi giorni della Terra, Dio ha creato una sposa per Adamo. Il suo nome era Lilith, e non si piegava ai desideri di Adamo, quindi è stata allontanata dal Giardino dell’Eden. Si è accoppiata con il demone Samael, e con lui ha avuto numerosi figli demoni, la cui discendenza sono stati i primi stregoni. Ciò ha fatto inferocire il Cielo, e tre angeli vendicativi – Sanvi, Sansanvi e Semangelaf – sono stati inviati a punirla. È stata resa sterile dagli angeli e bandita nel regno di Edom, una terra desolata di creature notturne e gufi stridenti, dove risiede tuttora. Talvolta però protende una mano per fornire assistenza agli stregoni fedeli alla sua causa.”
Buona parte della storia era familiare per Cordelia, anche se nei miti degli Shadowhunters i tre angeli erano considerati eroi e protettori. Otto giorni dopo la nascita di un bambino Shadowhunter, veniva compiuto un rituale: i nomi di Sanvi, Sansanvi e Semangelaf, cantilenati come un incantesimo, venivano posti sul bambino dai Fratelli Silenti e dalle Sorelle di Ferro. Era un modo per bloccare la sua anima, aveva spiegato un tempo Sona a Cordelia, trasformandolo in una porta chiusa a ogni sorta di influenza o possessione demoniaca.
Forse non era il momento giusto per parlarne, però. “Matthew mi aveva effettivamente promesso uno scandalo,” disse, “ma sospetto che il Conclave non approvi che siano presenti Shadowhunters alle feste di compleanno di demoni famosi.”
“Non è il suo compleanno,” rispose Hypatia. “Solo un giorno di festa. Crediamo che sia quello in cui ha lasciato il Giardino dell’Eden.”
“Le palline rosse che pendono dagli alberi,” osservò Cordelia, improvvisamente consapevole. “Sono mele. Il frutto proibito.”
“L’Hell Ruelle prova piacere,” disse Hypatia, sorridendo, “di fronte al consumo di ciò che è proibito. Crediamo sia troppo delizioso per essere un tabù.”
Matthew si strinse nelle spalle. “Non vedo perché al Conclave dovrebbe importare. Non penso ci sia bisogno per noi di celebrare Lilith o qualcosa del genere. Sono solo decorazioni.”
Hypatia parve divertita. “Certo. Nient’altro. Il che mi ricorda…”
Lanciò un’occhiata significativa alla compagna fatata di Kellington, che si alzò in piedi, offrendole il posto. Hypatia si sedette senza rivolgerle un secondo sguardo, allargando le gonne intorno a sé. La fata tornò a mescolarsi alla folla mentre Hypatia ricominciava a parlare: “La mia Pyxis è sparita dalla notte della tua ultima visita, signorina Carstairs. Ricordo che c’era anche Matthew. Mi chiedevo se per caso ve l’avessi inavvertitamente donata.”
Oh, no. Cordelia ripensò alla Pyxis che avevano rubato mesi prima: era esplosa durante una battaglia con un demone Mandikhor. Guardò Matthew. Lui scosse le spalle e sgraffignò una tazza di vino speziato dal vassoio di un cameriere fata di passaggio. Cordelia si schiarì la voce. “Penso di sì, in realtà. Mi sembra che tu mi abbia augurato il meglio per il mio futuro.”
“Non si è trattato solo di un dono premuroso,” aggiunse Matthew, “ha anche contribuito moltissimo a salvare la città di Londra dalla distruzione.”
“Sì,” concordò Cordelia. “Fondamentale. Un aiuto assolutamente necessario per evitare la completa rovina.”
“Signor Fairchild, sei una pessima influenza per la signorina Carstairs. Sta cominciando a sviluppare una preoccupante quantità di sfacciataggine.” Hypatia si rivolse a Cordelia, gli occhi stellati illeggibili. “Devo ammettere che mi sorprende molto vederti qui stasera. Supponevo che le spose Shadowhunters preferissero passare la sera prima delle nozze ad affilare le proprie armi, o a decapitare manichini imbottiti.”
Cordelia cominciò a chiedersi perché Matthew l’avesse portata al Ruelle. Nessuno voleva trascorrere la notte prima del proprio matrimonio a farsi rimproverare da stregoni altezzosi, non importava quanto curiosamente fosse decorato l’ambiente. “Non sono la classica sposa Shadowhunter,” rispose bruscamente.
Hypatia si limitò a sorridere. “Come dici tu,” ribatté. “Penso ci siano degli ospiti che ti stanno aspettando.”
Cordelia fece scorrere lo sguardo per la sala e si stupì di trovare due figure familiari sedute a un tavolino. Anna Lightwood, meravigliosa con la sua aderente redingote e le ghette blu, e Lucie Herondale, che aveva un’aria ordinata e graziosa nel suo vestito avorio con le perline blu e la stava energicamente salutando con la mano.
“Le hai invitate tu?” chiese a Matthew, che aveva tirato di nuovo fuori la fiaschetta. Se la rovesciò in bocca, poi si accigliò nel costatare che era vuota e la rimise in tasca. Aveva gli occhi luminosi.
“Sì,” rispose. “Non posso restare – devo andare alla festa di James –, ma volevo essere certo che avessi un’ottima compagnia. È stato detto loro di ballare e bere tutta la notte insieme a te. Divertiti.”
“Grazie.” Cordelia si sporse per dare un bacio sulla guancia a Matthew – odorava di chiodi di garofano e brandy –, ma lui voltò il capo all’ultimo momento, e le labbra di lei sfregarono le sue. Cordelia si ritrasse rapidamente, notando che sia Kellington che Hypatia la stavano guardando con occhi penetranti.
“Prima che te ne vada, Fairchild, ho notato che la tua fiaschetta è vuota,” disse Kellington. “Vieni al bancone con me; la farò riempire di qualunque cosa tu voglia.”
Stava osservando Matthew con un’espressione peculiare – un po’ come ricordava di essere stata guardata lei stessa da Kellington dopo il ballo. Un’occhiata che aveva un che di affamato.
“Non sono mai stato il tipo che rifiuta offerte di ‘qualunque cosa tu voglia,’” rispose Matthew, concedendo a Kellington di portarlo via. Cordelia valutò se chiamarlo, ma poi decise di no – e comunque Anna le stava facendo cenno di raggiungerle.
Si congedò da Hypatia, e aveva già percorso metà della sala quando intercettò qualcosa nell’ombra: due figure maschili, vicine. Si rese conto con stupore che erano Matthew e Kellington. Matthew era appoggiato alla parete, e Kellington – il più alto tra i due – era curvo su di lui.
Una mano di Kellington si sollevò per chiudersi intorno alla nuca di Matthew, sfiorando con le dita i suoi morbidi capelli.
Cordelia vide Matthew scuotere il capo proprio mentre altri ballerini si univano alla folla in pista, oscurandole la scena; una volta che furono passati, Cordelia notò che Matthew se n’era andato e Kellington, con espressione burrascosa, stava attraversando la sala per riunirsi a Hypatia. Si chiese cosa l’avesse sorpresa così tanto – non era certo una novità che a Matthew gli uomini piacessero quanto le donne, e in più era celibe: poteva decidere da solo. Però l’atteggiamento generale di Kellington le data comunque fastidio. Si augurava che Matthew avrebbe fatto attenzione…
Qualcuno le posò una mano sul braccio.
Si voltò, trovandosi davanti una donna – la fata che prima era stata seduta insieme a Kellington. Indossava un abito di velluto smeraldo, e intorno al collo portava una collana con delle luminose pietre blu.
“Perdona l’intrusione,” le disse senza fiato, come se si sentisse nervosa. “Sei… Sei la ragazza che ha ballato per noi qualche mese fa?”
“Sì,” confermò Cordelia, cauta.
“Ero certa di averti riconosciuta,” rispose la ragazza. Aveva un volto pallido e deciso. “Ho molto ammirato il tuo talento. E la spada, ovviamente. Ho ragione a ritenere che quella che porti sia proprio Cortana?” Mormorò l’ultima parte, come se anche solo invocare quel nome richiedesse coraggio.
“Oh, no,” fece Cordelia. “È un falso. Una semplice riproduzione ben fatta.”
La fata la osservò per un attimo, prima di scoppiare a ridere. “Oh, benissimo!” esclamò. “A volte dimentico che i mortali fanno battute – è una sorta di bugia con lo scopo di divertire, non è vero? Ma ogni fata come si deve è in grado di riconoscere il lavoro di Wayland il Fabbro.” Guardò la spada con ammirazione. “Se posso permettermi, Wayland è davvero il più grande fabbro in vita sulle Isole Britanniche.”
Cordelia si bloccò. “In vita?” ripeté. “Stai dicendo che Wayland il Fabbro è ancora vivo?”
“Beh, certo!” replicò l’altra battendo le mani, e Cordelia si domandò se non fosse per caso sul punto di rivelarle che Wayland il Fabbro era in realtà il goblin piuttosto ubriaco che se ne stava in un angolo con un paralume in testa. Ma la fata disse solo: “Sono secoli che nulla di suo finisce più in mani mortali, ma dicono che lavori ancora nella sua fucina, sotto un tumulo a Berkshire Downs.”
“Davvero,” commentò Cordelia, cercando di attirare l’attenzione di Anna per farsi salvare. “Che cosa interessante.”
“Se avessi interesse a incontrare il creatore di Cortana, potrei accompagnarti io. Oltre il grande cavallo bianco e sotto la collina. Per una sola moneta e la promessa di…”
“No,” replicò con fermezza Cordelia. Forse era davvero ingenua quanto la clientela del Ruelle riteneva che fosse, ma persino lei conosceva la cosa giusta da fare davanti a una fata che stava tentando di stringere un accordo: allontanarsi. “Tu goditi la festa,” aggiunse, “io devo andare.”
Mentre si voltava, la donna le disse a bassa voce: “Non sei obbligata a sposare un uomo che non ti ama, sai.”
Cordelia si immobilizzò. Guardò la fata oltre la sua spalla; dal suo sguardo era svanita tutta la trasognatezza. Adesso i suoi occhi erano stretti, taglienti e vigili.
“Ci sono altre strade,” aggiunse la donna. “Potrei aiutarti.”
Cordelia mantenne un’espressione vacua. “Le mie amiche mi stanno aspettando,” disse, e si allontanò col cuore che le batteva furiosamente. Sprofondò nella sedia di fronte a quelle di Anna e Lucie. Loro la salutarono con entusiasmo, ma la mente di Cordelia era a miglia di distanza.
Un uomo che non ti ama. Com’era possibile che quella fata sapesse?
“Daisy!” la richiamò Anna. “Presta attenzione. Ti stiamo ricoprendo di attenzioni.” Stava bevendo pallido champagne da un calice affusolato, e le bastò agitare le dita perché ne arrivasse un secondo, che porse a Cordelia.
“Evviva!” urlò deliziata Lucie, prima di ricominciare a ignorare completamente sia il suo sidro che le sue amiche, alternando momenti in cui scriveva furiosamente in un quaderno ad altri in cui puntava lo sguardo nel vuoto.
“La luce dell’ispirazione ti ha colpita, cara?” le chiese Cordelia. I battiti del suo cuore avevano cominciato a rallentare. La fata aveva raccontato solo sciocchezze, si disse con fermezza. Doveva aver sentito Hypatia parlarle del suo matrimonio, e aveva pensato di giocare con le insicurezze comuni a ogni sposa. Quale ragazza non aveva paura che l’uomo che stava per sposare non la amasse? Nel caso di Cordelia poteva anche essere vero, ma chiunque l’avrebbe temuto, e le fate si cibavano delle paure dei mortali. Non significava nulla – era stato solo uno sforzo per ottenere da Cordelia ciò che le aveva già chiesto prima: una moneta e una promessa.
Lucie agitò una mano macchiata d’inchiostro per attirare la sua attenzione. “C’è così tanto materiale, qui dentro,” disse. “Hai notato Malcolm Fade laggiù? Amo il suo cappotto. Oh, e ho deciso che, anziché essere un affascinante ufficiale marittimo, Lord Kincaid dovrebbe essere un artista il cui lavoro è stato bandito da Londra, e dunque lui è fuggito a Parigi, dove ha trasformato la bella Cordelia nella sua musa ed è il benvenuto in tutti i migliori salotti…”
“Cos’è successo al Duca del Blankshire?” le chiese Cordelia. “Pensavo che la Cordelia fittizia stesse per diventare una duchessa.”
“È morto,” spiegò Lucie, leccandosi via dell’inchiostro dal dito. Intorno al collo le brillava una catena d’oro. Indossava quello stesso medaglione dorato da parecchi mesi, ormai; quando Cordelia le aveva fatto domande a riguardo, Lucie le aveva risposto che si trattava di un vecchio cimelio di famiglia che aveva lo scopo di portare buona fortuna. Cordelia riusciva ancora a ricordare la sua presenza, quel lampo dorato nell’oscurità, la notte in cui James era quasi morto per il veleno demoniaco nel Cimitero di Highgate. Non ricordava di averlo mai visto su Lucie, prima. Supponeva che avrebbe potuto pressarla con delle domande, ma sapeva di star nascondendo lei stessa dei segreti alla sua futura parabatai – poteva difficilmente pretendere di conoscere tutti quelli di Lucie, soprattutto quando riguardavano cose piccole quanto un medaglione.
“Sembra un romanzo davvero tragico,” commentò Anna, ammirando il modo in cui lo champagne rifletteva le luci.
“Oh, non lo è,” ribatté Lucie. “Non volevo che la Cordelia fittizia si legasse a un solo uomo. Volevo che vivesse delle avventure.”
“Non è proprio il tipo di sentimento che si desidera alla vigilia di un matrimonio,” disse Anna, “ma lo elogio comunque. Ci si augura però che continuerai a vivere avventure anche dopo le nozze, Daisy.” I suoi occhi blu scintillarono mentre sollevava il calice per un brindisi.
Lucie alzò la sua tazza. “Alla fine della libertà! All’inizio di una cattività gioiosa!”
“Sciocchezze,” rispose Anna. “Il matrimonio di una donna è l’inizio della sua libertà, Lucie.”
“E perché mai?” domandò Cordelia.
“Una donna nubile,” spiegò Anna, “per la società si trova in quello stato temporaneo in cui non è sposata, e si augura di diventarlo presto. Una donna maritata, invece, può flirtare con chiunque lei voglia senza danneggiare la sua reputazione. Può viaggiare liberamente. Verso il e dal mio appartamento, ad esempio.”
Lucie sbarrò gli occhi. “Stai dicendo che alcune delle tue relazioni sentimentali sono state con donne che erano già sposate?”
“Ti sto dicendo che capita più spesso del contrario,” confermò Anna. “È solo che una donna sposata si trova nella situazione di poter fare più liberamente come desidera. Una giovane signorina nubile fatica a uscire di casa da sola. Una donna sposata, invece, può far spese, andare a lezioni, incontrare gli amici – ha una dozzina di scusanti per non trovarsi a casa con indosso un cappello che le sta bene.”
Cordelia ridacchiò. Anna e Lucie erano sempre in grado di tirarla su di morale. “E a te le signorine con dei cappelli che stanno loro bene piacciono.”
Anna sollevò un dito con fare meditabondo. “Una signorina in grado di scegliere un cappello che le sta davvero bene ha molto probabilmente prestato attenzione a ogni strato del suo completo.”
“Che osservazione saggia,” fece Lucie. “Ti spiacerebbe se la inserissi nel mio romanzo? È proprio il genere di cosa che direbbe Lord Kincaid.”
“Fa’ come desideri, ladruncola,” rispose Anna, “tanto hai già rubato metà delle mie battute migliori.” Il suo sguardo corse per la stanza. “Avete visto Matthew con Kellington? Spero che non ricominceranno di nuovo.”
“Cos’è successo con Kellington?” chiese Lucie.
“Ha spezzato il cuore di Matthew, più o meno un anno fa,” spiegò Anna. “Matthew ha l’abitudine di farsi spezzare il cuore. Sembra avere una preferenza per gli amori senza speranza.”
“Sì?” Lucie aveva ricominciato a scribacchiare nel suo quaderno. “Oh, povero caro.”
“Buonasera, adorabili signorine,” disse un uomo alto con la pelle bianca cadaverica e i capelli castani arricciati, comparendo accanto al loro tavolo come per magia. “Quale di voi stupefacenti bellezze smania di ballare con me per prima?”
Lucie saltò in piedi. “Ballerò io con te,” dichiarò. “Sei un vampiro, vero?”
“Ehm – sì?”
“Favoloso. Balleremo, e tu mi racconterai tutto sul vampirismo. Pedini giovani donne bellissime attraverso le strade della città, con la speranza di rubare un sorso del loro sangue distinto? Piangi perché la tua anima è dannata?”
Gli occhi scuri del giovane saettarono in giro con fare preoccupato. “In verità volevo solo ballare il valzer,” le rispose, ma Lucie l’aveva già afferrato e trascinato sulla pista da ballo. La musica crebbe bruscamente, e Cordelia fece tintinnare il suo bicchiere contro quello di Anna; ridevano entrambe.
“Povero Edwin,” commentò Anna, guardando i ballerini. Ha un’inclinazione per il nervosismo già nei momenti migliori. Ora, Cordelia, parlami di ogni dettaglio dei progetti per il matrimonio, e io nel frattempo ci procurerò dello champagne fresco.”
Se talvolta, sui gradini di un palazzo,
sull’erba verde di un fosso, nella cupa
solitudine della vostra camera, vi risvegliate
poiché è diminuita o venuta a mancare
l’ebbrezza, chiedete al vento, alle onde, alle
stelle, agli uccelli, agli orologi, a tutto ciò
che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto
ciò che scorre, a tutto ciò che canta,
a tutto ciò che parla, chiedete loro che
ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli
uccelli, l’orologio vi risponderanno:
“È il momento di diventare ebbri!
Non siate schiavi martirizzati dal Tempo,
ubriacatevi; siate costantemente ubriachi!
Di vino, poesia o virtù, come vi pare.”
– Charles Baudelaire, “Enivrez-vous”
“Attento, dietro di te!” tuonò Christopher in tono di avvertimento. James si tolse di mezzo alla svelta. Due licantropi volarono sopra le loro teste, serrati in un combattimento da ubriachi, e andarono a schiantarsi contro il pavimento. Thomas teneva il bicchiere sopra alla sua testa per proteggerlo dalla folla sgomitante.
James non era stato certo che la Taverna del Diavolo fosse il posto giusto per questa festa, visto che la frequentava in ogni caso per più giorni alla settimana, ma Matthew aveva insistito, sottintendendo di aver organizzato qualcosa di speciale.
James diede un’occhiata al caos che lo circondava e si lasciò andare a un silenzioso sospiro interiore. “Mi ero aspettato una sera assai più tranquilla.”
Le cose non erano state così selvagge quando erano arrivati. Il Diavolo portava avanti i suoi soliti affari serali, vivaci e amichevoli, e James sarebbe stato contento di scivolare al piano superiore nelle loro camere private, come avevano già fatto mille altre volte, e rilassarsi semplicemente in compagnia dei suoi più vecchi amici.
Matthew, però, si era immediatamente arrampicato su una sedia, attirando l’attenzione di tutto il locale battendo il suo stelo contro il lampadario di metallo, e aveva urlato: “Amici! Questa sera il mio parabatai, James Jeremiah Jehoshaphat Herondale, festeggia la sua ultima notte da scapolo!”
L’intera stanza aveva urlato ed esultato.
James aveva agitato una mano per ringraziare e congedare quanti volevano congratularsi, ma non sembravano aver finito. Nascosti di ogni sorta gli si erano avvicinati per stringergli la mano e dargli pacche sulla schiena e augurargli di essere felice. Con sua somma sorpresa, James si rese conto di conoscere quasi tutti i presenti – ne conosceva molti, in effetti, sin da quando era un ragazzino, e loro l’avevano visto crescere.
C’era Nisha, “la vampira più vecchia della parte più vecchia di questa città vecchia”, come diceva sempre lei. C’erano Sid e Sid, i due licantropi che litigavano sempre su chi dovesse essere “Sid” e chi “Sidney”. Lo strano gruppo di folletti che chiacchieravano tra loro e mai con nessun altro, ma di quando in quando mandavano bevande gratuite agli altri clienti, apparentemente in modo casuale. Circondarono James e lo obbligarono a finire il whiskey che aveva in mano, così da poter bere quello che gli avevano portato per rimpiazzarlo.
James era genuinamente commosso da quella dimostrazione di affetto, ma tutto lo faceva sentire ancora più a disagio riguardo la natura del suo matrimonio. Finirà tra un anno, pensò. Se lo sapeste, ora non stareste festeggiando.
Matthew era sparito in cima alle scale poco dopo il suo discorso, e aveva lasciato gli altri insieme ai rumorosi e turbolenti presenti, che si ubriacavano sempre più in onore di James, finché poi, ovviamente, non era arrivato l’inevitabile momento in cui Sid aveva dato un pugno a Sid, e un ruggito in egual parte di approvazione e scherno si era alzato dalla folla.
Thomas, accigliato, usò la sua ampia figura e i notevoli muscoli per condurre tutti e tre in un angolo meno affollato della stanza.
“Grazie, Thomas,” gli disse Christopher. I suoi capelli castani erano arruffati, e aveva spinto gli occhiali a metà strada sulla testa. “Lo spettacolo speciale di Matthew dovrebbe cominciare…” Guardò speranzoso in direzione delle scale. “In qualsiasi momento.”
“Quando Matthew organizza qualcosa di speciale, in genere o è tutto tremendamente delizioso o deliziosamente terribile,” commentò James. “A uno di voi va di scommettere quale delle due sarà stavolta?”
Christopher fece un sorrisino. “Qualcosa di una bellezza incomparabile, stando a Matthew.”
“Potrebbe trattarsi di qualunque cosa,” ribatté James, guardando Polly la barista che marciava al centro della mischia per dividere i due Sid, mentre Pickles il kelpie accettava scommesse su chi sarebbe stato il vincitore.
Thomas smise di tenere le braccia incrociate e disse: “È una sirena.”
“Una cosa?” domandò James.
“Una sirena,” ripeté Thomas. “Che metterà in scena una specie di… torrido spettacolo da sirena.”
“Una qualche sua amica dal demi-monde, sai,” aggiunse Christopher, che sembrava compiaciuto di conoscere la parola “demi-monde”. In effetti, i frequenti incontri di Matthew con poeti e cortigiane erano tutt’altro rispetto alle tinture e alle provette di Christopher, o all’estesa libreria e all’intensivo regime di allenamento di Thomas. In ogni caso, sembravano entrambi sollevati di aver rivelato la verità.
“Cosa farà?” chiese James. “E… dove lo farà?”
“In un grosso acquario, si spera,” rispose Christopher.
“Quanto a quello che farà,” aggiunse Thomas, “si parla di qualcosa di bohémien con campanelli, castagnette e veli. Immagino.”
Christopher sembrava preoccupato. “Ma i veli non si bagneranno?”
“Sarà un’esperienza indimenticabile,” continuò Thomas. “O così dice Matthew. Una bellezza incomparabile e così via.”
Senza riflettere, James si ritrovò ad allungare una mano verso il braccialetto d’argento intorno al suo polso; fece scorrere le dita con fare assente lungo la superficie. Dopo tutto questo tempo, notava a stento la sua presenza – Grace Blackthorn gliel’aveva affidato quando aveva solo quattordici anni. Ma James si era sforzato molto di non pensare a Grace, a mano a mano che il suo matrimonio si avvicinava.
Un anno, rifletté. Doveva tenere Grace fuori dalla sua testa solo per un altro anno. Era quella la promessa che si erano fatti. E aveva anche promesso a Cordelia che non avrebbe incontrato Grace da solo o a sua insaputa: se qualcuno l’avesse scoperto, lei sarebbe stata umiliata. Il mondo doveva credere che il loro fosse un matrimonio vero.
L’idea di procedere con le nozze indossando ancora quel braccialetto lo faceva sentire a disagio. Si ripromise di toglierlo, una volta tornato a casa. Forse levarselo avrebbe potuto essere uno sgarbo nei confronti di Grace, ma tenerlo gli sembrava una mancanza di rispetto verso Cordelia. Aveva deciso, quando tutto era successo, che non avrebbe rinnegato le sue promesse di matrimonio, né con parole né con azioni. Magari non sarebbe riuscito a controllare il suo cuore o i suoi pensieri, ma poteva almeno togliere il braccialetto. Quello era in grado di farlo.
Dall’altra parte della stanza, Polly stava dando ordini a un piccolo gruppo di brownie. Avevano allestito un palco in fondo alla sala, su cui si trovava in effetti un grosso acquario. Un paio di brownie stavano spostando dei candelabri per fornire illuminazione teatrale, mentre altri scorrazzavano in giro, ripulendo il pavimento per far posto al pubblico.
Le scale scricchiolarono; Matthew le stava scendendo di corsa, con i suoi capelli luminosi che nella foschia del locale avevano assunto il colore dei candelabri. Si era tolto la giacca e ora era in camicia e panciotto a strisce verdi e blu. Saltò giù dal corrimano, atterrando sul palco. In piedi dietro l’acquario, alzò le braccia per zittire i presenti.
Il frastuono proseguì imperterrito, però, finché il primo Sid non strinse tra loro gli enormi pugni sopra la sua testa e urlò: “Ohi! Tacete o schiaccerò quei vostri teschi pulciosi!”
“Esatto!” concordò l’altro Sid; pareva che avessero messo da parte le loro differenze.
Ci fu una buona dose di brontolii, e un licantropo poco distante mormorò: “Pulciosi! Ma bene!” Alla fine, però, la folla si zittì.
“Attenzione,” sussurrò James. “Come farà una sirena a scendere dalle scale?”
Rimasero tutti e tre in silenzio per un attimo, e poi Christopher, che si era tolto le lenti per pulirle, chiese: “Come ha fatto la sirena a salirle?”
Thomas si strinse nelle spalle.
“Buonasera, amici miei!” chiamò Matthew, accompagnato da una manciata di educati applausi. “Questa sera vi presentiamo qualcosa di davvero eccezionale, in onore di un vecchio amico del Diavolo. Siete stati così gentili da tollerare la presenza di noi Allegri Compagni per parecchi anni ormai…”
“In verità pensavamo che voi Shadowhunters steste facendo irruzione qui dentro,” gli rispose Polly con un sorrisetto, “e che vi steste prendendo tutto il tempo necessario.”
“Domani uno di noi – il primo tra noi – marcerà verso il suo tragico destino e si unirà a tutte voi povere anime sposate,” proseguì Matthew. “Stanotte, però, lo manderemo via in grande stile!”
Fischi e urla accompagnarono battute e pugni sbattuti sui tavoli. Un satiro e una tozza creatura con le corna vicino all’ingresso si alzarono e simularono un abbraccio osceno, finché qualcuno non lanciò loro una salsiccia. Al piano, uno dei folletti iniziò a suonare un motivetto comico. La sala si riempì di musica, e Matthew sollevò la sua stregaluce. Illuminò scintillando la figura che stava discendendo le scale.
James si domandò per un momento se quella fosse la prima volta che qualcuno utilizzava una stregaluce come illuminazione da palco, prima di registrare ciò che stava guardando e di ritrovarsi con la mente svuotata. Christopher emise un debole verso gutturale, e Thomas aveva gli occhi sbarrati.
La sirena aveva gambe umane. Erano lunghe e di una forma davvero graziosa, doveva ammettere James, largamente fasciate in delle gonne traslucide fatte di alghe esotiche.
Sfortunatamente, la parte dalla vita in su era quella boccheggiante e vacua di un pesce. Le sue squame erano di uno scintillante argento metallico, e riflettevano la luce in un modo che quasi, ma non del tutto, distraeva dai suoi occhi gialli, che non battevano le palpebre ed erano grandi quanto piatti da portata.
Il pubblico impazzì, esultando e fischiando due volte più rumorosamente di prima. Uno dei licantropi ululò: “CLARIBELLA!”, con voce desolata e carica di desiderio.
“Vi presento,” urlò Matthew con un ghigno, “Claribella la Sirena!”
La folla fischiò e sottolineò con colpi la sua approvazione. James, Christopher e Thomas non avevano parole.
“La sirena è al contrario,” osservò James, che aveva in parte recuperato il suo vocabolario – anche se forse non del tutto.
“Matthew ha assunto una sirena inversa,” concordò Thomas. “Ma perché?”
“Mi domando che pesce sia,” si inserì Christopher. “Le sirene sono tipi specifici di pesci? Squali, aringhe o simili?”
“Stamattina a colazione ho mangiato aringhe affumicate,” rispose tristemente Thomas.
La sirena inversa cominciò a oscillare i fianchi da una parte all’altra, con la tranquillità di un’esperta ballerina di cabaret. La sua bocca si apriva e richiudeva ondeggiando a ritmo della musica. Le piccole pinne che aveva su entrambi i lati del corpo sbattevano.
In favore di Matthew, andava detto che il resto della folla della Taverna del Diavolo sembrava ammirare seriamente Claribella e il suo spettacolo. Una volta terminato il ballo, lei si ritirò dietro l’acquario, in parte per proteggersi dai suoi più devoti ammiratori.
“Hai un certo non so che,” commentò Christopher. Si voltò speranzoso verso James. “Eh?”
“Saremmo dovuti andare alla festa in slitta dei Pounceby,” rispose James.
“Magari potremmo passare una tranquilla serata al piano di sopra,” suggerì Thomas con fare compassionevole. “Ci farò strada tra la folla.”
Mentre seguivano Thomas attraverso la marea di Nascosti, Matthew, che fino a quel momento aveva venduto biglietti per delle sessioni private con Claribella, li notò e saltò giù dal palco.
“Cerchi il meraviglioso conforto della solitudine?” chiese a James, prendendogli il braccio. Aveva il suo solito odore – acqua di colonia e brandy, accompagnati da un pizzico di fumo e segatura.
“Sto salendo al piano di sopra con voi tre,” gli rispose James. “Non la definirei ‘solitudine’.”
“Silenzio, allora,” disse Matthew. “‘Tu, sposa ancora inviolata della quiete – tu, figlia adottiva del silenzio e del lento tempo…’”
Mentre risalivano i gradini, Ernie, il proprietario della taverna, saltò sul palco per cercare di ballare con Claribella – ma lei riuscì a evitarlo con facilità usando solo le sue tozze pinne e si gettò a capofitto nella tinozza di gin in cui viveva Pickles il kelpie. Ne emerse dopo qualche istante, boccheggiando gin mentre Pickles nitriva deliziato.
I quattro raggiunsero le loro camere private; Thomas si affrettò a chiudere con forza la porta dietro di loro. L’ambiente era freddo, e dal soffitto continuava a gocciolare acqua sui tappeti consunti, ma James pensò comunque che fosse una vista confortevole. Quella era la sede centrale degli Allegri Compagni, il loro rifugio, il loro posto lontano dal mondo, e l’unico luogo in cui al momento voleva trovarsi. La neve aveva ricominciato a cadere, e adesso scendeva in bianche folate volteggianti contro il vetro piombato della finestra.
Thomas portò un vaso vuoto per cercare di bloccare la perdita d’acqua, mentre Christopher si inginocchiava davanti al caminetto e dava un’occhiata ai ciocchi, umidi di neve sciolta. Tirò fuori un oggetto dalla tasca, un tubo di metallo unito a una piccola boccetta di vetro – il mezzo tramite cui funzionava l’accendifuoco chimico su cui aveva lavorato nelle ultime settimane. Cliccò un interruttore, e la boccetta si riempì di un gas rosato. Si sentì un leggero scoppiettio, e una fiamma fuoriuscì per un attimo dall’estremità del tubo, ma si spense in fretta, e la stanza si riempì di un denso fumo nero.
“Non me lo aspettavo,” commentò Christopher, cercando di bloccare il tubo con un fazzoletto. James e Matthew si scambiarono un’occhiata esasperata, e poi corsero ad aprire le finestre, tossendo e rantolando. Thomas afferrò un libro a brandelli dallo scaffale e prese ad agitarlo per spingere il fumo in direzione delle finestre. Furono aperte sia tutte quelle che mancavano che le porte, e tutti loro afferrarono qualunque cosa fosse a portata di mano per sventolare quel fumo acre, finché poi non scomparve, lasciandosi dietro un olezzo amaro e ricoprendo ogni superficie di fuliggine nera.
Chiusero tutte le finestre sbattendole. Thomas andò nella stanza adiacente, tornando poi con della legna asciutta: stavolta, quando Christopher provò ad accenderlo – con dei normalissimi fiammiferi –, il fuoco attecchì subito. Tutti e quattro si radunarono intorno al tavolo circolare al centro della stanza, tremando; Matthew strinse le mani di James e le sfregò tra le sue.
“Beh, è un bel modo di trascorrere la vigilia del tuo matrimonio,” gli disse in tono di scuse.
“Non c’è posto dove preferirei essere,” rispose James coi denti che battevano. “In primo luogo, voi siete gli unici a conoscere la verità su questo matrimonio.”
“E questo ci libera dalle aspettative che si hanno di solito, quelle per cui questa penultima sera avrebbe dovuto essere godibile,” concordò Matthew. Lasciò andare le mani di James e prese quattro boccali. Dopo aver recuperato la bottiglia, li riempì di brandy.
Parlava in tono leggero, ma nella sua voce c’era una certa affilatezza, e James si chiese quanto dovesse aver già bevuto prima ancora di arrivare alla taverna.
“Ai clienti abituali lo spettacolo di Claribella sembra essere piaciuto,” osservò Thomas.
“Sapevi che era una sirena inversa?” domandò Christopher, gli occhi viola pieni di innocente curiosità.
“Ehm,” rispose Matthew, riempiendosi di nuovo il boccale, “non proprio, no. Voglio dire, l’uomo da cui l’ho ingaggiata l’aveva definita retrograda, ma credevo intendesse che era poco istruita, e non volevo sembrare un tipo altezzoso.”
Thomas fece una risata nasale.
“Avresti potuto chiedere di vederla, prima di ingaggiarla,” gli fece notare James. Prese un sorso dal suo boccale; il brandy cominciò a scaldarlo dentro così come il fuoco, ora scoppiettante, aveva preso a riscaldarlo all’esterno.
La sua aveva voluto essere una battuta, ma Matthew parve restarci male. “Mi sono sforzato,” protestò. Diretto a Thomas e Christopher, aggiunse: “Non mi sembra che voialtri abbiate condiviso qualche fantastica idea per stanotte.”
“Solo perché ci avevi detto di avere tutto sotto controllo,” rispose Thomas.
“L’importante,” si inserì Christopher, allarmato dalla possibilità di un conflitto, “è che siamo tutti insieme. E che domani poteremo James in tempo alla cerimonia, certo.”
“Certo, perché lo sposo non vede l’ora di prender moglie,” strascicò Matthew, e gli altri si guardarono tra loro, tutti preoccupati quanto Christopher. Era davvero raro che loro quattro discutessero o litigassero, e James e Matthew non lo facevano quasi mai.
Persino Matthew parve accorgersi che il suo commento aveva colpito un po’ troppo a fondo, e lo scheletro della verità scintillava come bianche ossa tra la polvere. Prese la fiaschetta che teneva nel cappotto e la capovolse, ma era vuota. La lanciò quindi sul divano lì accanto e voltò verso James, gli occhi che brillavano.
“Jamie,” disse. “Mio cuore. Mio parabatai. Non c’è bisogno che tu lo faccia. Non sei obbligato. Lo sai, vero?”
Sia Christopher che Thomas sedevano immobili.
“Cordelia…” esordì James.
“Cordelia potrebbe non volerlo a sua volta,” lo interruppe Matthew. “Un matrimonio fasullo – non è di certo il sogno di una giovane fanciulla…”
James si alzò in piedi. Il cuore gli martellava un suono strano nel petto. “Per salvarmi dall’essere imprigionato dal Conclave per incendio doloso, distruzione di proprietà privata e l’Angelo sa cos’altro, Cordelia ha mentito per me. Ha detto che avevamo passato la notte insieme.” Il suo tono era duro, ogni parola chiara e precisa. “Sai cosa significa per una donna. Ha distrutto la sua reputazione per me.”
“Ma non è distrutta,” si inserì Christopher. “Perché…”
“Mi sono offerto di sposarla,” concluse James. “No, anzi, le ho detto che ci saremmo sposati. Perché Cordelia sarebbe effettivamente stata la prima a tirarsi indietro davanti a un’unione simile. Non vorrebbe mai che facessi qualcosa solo perché mi sento costretto, o che mi rendessi infelice per il suo bene.”
“Ed è così?” Gli occhi di Thomas erano limpidi, lo sguardo fisso. “Ti stai rendendo infelice per lei?”
“Sarei più infelice se lei fosse rovinata,” rispose James, “e la colpa fosse mia. Un anno di matrimonio con Daisy è un prezzo piccolo da pagare per salvarci entrambi.” Espirò. “Ricordate? Quando abbiamo tutti detto che sarebbe stato divertente? Uno spasso?”
“Suppongo che, a mano a mano che il giorno si avvicina, la cosa sembri sempre più seria,” spiegò Christopher.
“Non è una faccenda da prendere alla leggera,” disse Thomas. “Le rune del matrimonio, le promesse…”
“Lo so,” ribatté James, voltandosi verso le finestre. Sembrava che la neve avesse inghiottito per intero Londra. Loro quattro sedevano prigionieri in una punta di luce e calore, al centro di un mondo di ghiaccio.
“E Grace Blackthorn,” aggiunse Matthew.
Seguì un breve attimo di silenzio. Nessuno di loro aveva più pronunciato quel nome davanti a James dalla sua festa di fidanzamento con Cordelia, quattro mesi prima.
“In verità non so cosa pensi Grace,” rispose James. “Si è comportata in maniera molto strana dopo la promessa di matrimonio…”
Matthew fece una smorfia. “Sebbene lei stessa fosse già fidanzata e non avesse motivo…”
“Matthew,” lo richiamò piano Thomas.
“Non le parlo da mesi,” disse James. “Neanche una parola.”
“Non hai dimenticato di aver bruciato quella casa per colpa sua, vero?” gli domandò Matthew, riempiendosi di nuovo il boccale.
“No,” rispose James in tono rigido. “Ma non ha importanza. Ho fatto una promessa a Daisy, e la manterrò. Se volevate impedirmi di fare la cosa giusta, avreste dovuto cominciare la campagna un po’ prima della vigilia del mio matrimonio.”
Tutto rimase silenzioso per qualche istante. Stettero tutti e quattro immobili, respirando appena. La neve si andava a schiantare contro i pannelli di vetro in piccole esplosioni di bianco. James riusciva a vedere il suo riflesso: i capelli scuri, il volto pallido.
Infine Matthew disse: “Hai ragione, ovviamente; è solo, forse, che ci preoccupiamo che tu sia troppo onesto – troppo buono, e la bontà può essere una spada abbastanza affilata da tagliare, sai, tanto quanto gli intenti malvagi.”
“Non sono così buono,” rispose James, distogliendo lo sguardo dalla finestra…
…e all’improvviso la stanza e i suoi amici sembrarono sparire, e James si sentì come se stesse precipitando, agitandosi e voltandosi attraverso lunghe distese di nulla, sebbene al contempo fosse anche immobile.
Precipitò su un duro appezzamento di terra.
No, non adesso, non è possibile. Ma James si alzò in piedi, ritrovandosi in un luogo brullo e desolato, sotto un cielo coperto di cenere. Non era possibile, si disse – aveva visto questo regno delle ombre andare in pezzi, mentre Belial urlava di rabbia.
L’ultima volta che era stato in quel posto, aveva visto Cordelia affondare la sua spada nel petto di Belial. Si ritrovò spontaneamente a immaginarla mentre sferrava il colpo, spada sguainata e capelli liberi di scorrere, come se fosse una divinità catturata in un dipinto: la Libertà o la Vittoria che guida il popolo.
E poi il mondo stesso si era spaccato, mentre il cielo si divideva in due e luci rosse e nere precipitavano sulla terra che si andava sbriciolando. E James aveva visto il viso di Belial collassare e il suo corpo infrangersi in un migliaio di pezzi.
Belial non era morto, ma Cortana l’aveva indebolito così tanto che secondo Jem non sarebbe stato in grado di tornare per almeno un centinaio di anni. E di certo da quel momento in poi tutto era diventato tranquillo. James non aveva più rivisto suo nonno, e neanche più una traccia del suo regno delle ombre. Ma chi altri avrebbe potuto trascinarlo in quel posto?
Si voltò, assottigliando gli occhi. In quel luogo, che James aveva già visto innumerevoli volte nei sogni e nelle visioni, c’era qualcosa di diverso. Dov’erano i cumuli di ossa sbiancate, le dune di sabbia, gli alberi contorti e nodosi? In lontananza, dall’altra parte di una desolata distesa di ghiaia inghiottita dalle erbacce, James poteva scorgere i contorti di una massiccia struttura di pietra, una fortezza torreggiante che si ergeva oltre le piane.
Solo mani umane – o perlomeno intelligenti – avrebbero potuto costruire qualcosa del genere. James non aveva mai visto indizi di una storia simile nella desolazione del regno di Belial.
Mosse un passo cauto, ma tutto ciò che sentì fu aria che gli sbatteva contro come un’onda. Era accecato, costretto soffocante in ginocchio, e trascinato in un’oscurità senza fine. Precipitò di nuovo in mezzo al nulla, contorcendosi e agitandosi finché non si andò a schiantare su un duro pavimento di legno.
Si tirò sui gomiti, inspirando l’olezzo di sostanze chimiche bruciate e lana umida. Prima ancora che la sua vista si schiarisse, sentì delle voci; quella di Matthew si levava sulle altre due: “James? Jamie!”
Tossì debolmente. Sentiva un sapore salato, e si toccò la bocca con i polpastrelli. Quando li tirò via, erano macchiati di nero e rosso. Delle mani gli strinsero i polsi; fu bruscamente rimesso in piedi, con un braccio che gli circondava la schiena. Poteva sentire odore di brandy e acqua di colonia.
“Matthew,” chiamò, la bocca completamente asciutta.
“Acqua,” esclamò Christopher. “Ne abbiamo?”
“Non tocco mai quella roba,” ribatté Matthew mentre sistemava James sul divano. Gli si sedette accanto, osservandogli il viso con una tale intensità che, a dispetto di tutto, James fu costretto a soffocare una risata.
“Sto bene, Matthew,” gli disse. “E non capisco cosa ti aspetti di scoprire scrutandomi i bulbi oculari.”
“Ho l’acqua,” fece Thomas, superando Christopher per offrirgli un bicchiere: le mani di James tremavano così tanto che il primo sorso gli finì metà in gola e metà sulla camicia. Christopher continuò a dargli colpetti sulla schiena finché James non fu di nuovo in grado di inghiottire aria e respirare, e di bere per bene.
Poggiò la tazza vuota sul bracciolo del divano. “Grazie, Thomas…”
All’improvviso si ritrovò stretto in un forte abbraccio di Matthew. Le sue mani gli stringevano con forza il retro della camicia, la guancia fredda dell’amico era premuta contro la sua. “Sei diventato ombroso,” disse Matthew a bassa voce, “come se fossi sul punto di scomparire, come se io avessi desiderato che te ne andassi e tu stessi svanendo…”
James si ritrasse il necessario per scostargli i capelli dalla fronte. “Avevi desiderato che me ne andassi?” gli chiese in tono scherzoso.
“No. L’unico che talvolta desidero che scompaia sono solo io,” sussurrò Matthew in risposta, e una dichiarazione completamente sincera, priva di derisioni o canzonature o umorismo, era quanto di più raro ci fosse, quando si parlava di lui.
“Non desiderarlo mai,” gli disse James, e si tirò abbastanza a sedere da vedere gli altri due Allegri Compagni e le loro espressioni preoccupate. “Mi sono trasformato in un’ombra?”
Thomas annuì. Ora Matthew era appoggiato allo schienale del divano, e teneva solo la mano destra stretta intorno al polso di James, come se avesse bisogno di rassicurazioni sul fatto che fosse ancora lì.
“Ero davvero convinto che quello schifo fosse finito,” ammise James.
“Non succedeva da mesi,” aggiunse Christopher.
“Pensavo non potesse più succederti,” fece Thomas. “Pensavo che il regno di Belial fosse andato distrutto.”
James guardò i suoi amici col desiderio di rassicurarli – non significa nulla, potrebbe essere successo per qualsiasi motivo, sono certo che non sia importante –, ma le parole gli si spensero sulle labbra. Sentiva ancora troppo vicino la desolazione di quel luogo, l’acido sapore dell’aria, la fortezza in lontananza circondata dal fumo.
Qualcuno aveva voluto mostrarglielo, pensò. Ed era improbabile che si trattasse di una persona che gli augurava il meglio.
“Lo so,” disse infine. “È quello che pensavo anch’io.”
*
All’esterno, l’aria era così fredda da sembrare quasi risplendere mentre Cordelia, brilla e ridacchiante, usciva fuori dalla carrozza dell’Istituto e salutava vigorosamente Lucie con la mano. Alle sue spalle c’era Cornwall Gardens, al buio e con le imposte chiuse. “Grazie per la festa a sorpresa,” disse, chiudendo la porta della carrozza. “Non mi sarei mai aspettata di passare la notte prima del mio matrimonio giocando al gioco delle pulci con i licantropi.”
“Pensi che stessero barando? Io sì. Ma è stato comunque tremendamente divertente.” Lucie si sporse dal finestrino aperto e le lanciò un drammatico bacio. “Buonanotte, mia cara! Domani sarò la tua suggenes! Diventeremo sorelle.”
Cordelia sembrò momentaneamente ansiosa. “Solo per un anno.”
“No,” rispose Lucie con fermezza. “Qualunque cosa succeda, noi due saremo sorelle per sempre.”
Cordelia le sorrise e si voltò per entrare in casa. La porta d’ingresso era aperta, e Lucie poteva vedere Alastair in piedi sull’uscio con una lampada in mano, simile a Diogene che cerca un uomo onesto. Le fece un cenno col capo prima di chiudere la porta dietro alla sorella; Lucie diede un colpetto alla fiancata della carrozza, e Balios ricominciò a muoversi, il suono dei suoi zoccoli simile a pioggia attutita contro il terreno innevato.
Sospirando, si lasciò andare contro lo schienale di seta blu; all’improvviso si sentiva stanca. Era stata una lunga notte. Anna era scivolata via circa un’ora dopo la mezzanotte insieme a Lily, una vampira originaria di Beijing. Lucie era stata inflessibile – aveva deciso di restare al Ruelle finché Cordelia si fosse divertita; sapeva che la sua amica era mezza terrorizzata dal giorno successivo. Non poteva biasimarla. Non che le persone non si sposassero mai per ogni sorta di motivo di convenienza piuttosto che per amore, ma sebbene l’unione fosse destinata a essere solo temporanea, si trattava comunque di una situazione molto drammatica. Cordelia avrebbe dovuto mettere in scena uno spettacolo piuttosto grandioso, il giorno successivo, e James altrettanto.
“Un penny per i tuoi pensieri,” disse una voce profonda. Lucie alzò lo sguardo, le labbra che le si incurvavano in un sorriso.
Jesse. Seduto di fronte a lei, con il volto illuminato dal bagliore rosato della lampada della carrozza che filtrava attraverso il finestrino. Aveva imparato a non sobbalzare quando le compariva davanti all’improvviso; nei quattro mesi in cui avevano riacquistato familiarità, Lucie l’aveva incontrato quasi ogni notte.
Jesse aveva sempre lo stesso aspetto. Non aumentava mai di un centimetro in altezza, e neanche i suoi capelli si allungavano. Era sempre rassicurantemente vestito con gli stessi calzoni neri e la camicia bianca. I suoi occhi erano sempre profondi e verdi, come verderame su una moneta ossidata.
E la sua presenza la faceva sempre sentire come se delle dita delicate le stessero scorrendo lungo la schiena. Tremante e accaldata al contempo.
“Un penny è molto poco,” gli rispose, sforzandosi di tenere un tono leggero. “I miei pensieri sono interessantissimi, e conoscerli dovrebbe richiedere una grande quantità di denaro.”
“Che peccato che io non abbia un soldo,” rispose lui, e si indicò le tasche vuote. “Ti sei divertita al Ruelle? Gli abiti di Anna sono davvero spettacolari; vorrei che potesse consigliarmi qualche panciotto e delle ghette, ma, sai…” Sollevò le braccia, facendo un cenno in direzione dal suo aspetto immutabile.
Lucie gli sorrise. “Eri nascosto da qualche parte? Non ti ho visto.”
Era raro che non lo notasse quando era presente in una stanza. Quattro mesi prima, Jesse aveva ceduto il suo ultimo respiro – un tempo imprigionato nel medaglione d’oro che ora lei portava al collo – per salvare la vita di James. Lucie aveva temuto che quella perdita avrebbe fatto affievolire o scomparire Jesse; sebbene lui restasse irritantemente inconsistente, era ancora ben visibile, anche se solo a lei.
Jesse appoggiò il capo contro il rivestimento blu e dorato. “Potrei aver fatto un salto per assicurarmi che tu fossi entrata al Ruelle senza problemi. Ci sono un sacco di tipi sospetti in giro per Berwick Street, di notte: ladri, scippatori, furfanti…”
“Furfanti?” Lucie era deliziata. “Sembra una cosa uscita da La Bella Cordelia.”
“A tal proposito.” Jesse le puntò contro un dito accusatore. “Quand’è che mi permetterai di leggerlo?”
Lucie esitò. Gli aveva permesso di leggere alcuni dei suoi primi romanzi, come La Principessa Segreta Lucie Viene Salvata Dalla Sua Terribile Famiglia, che a Jesse era piaciuto tantissimo, soprattutto per il personaggio del Principe Crudele James. Ma La Bella Cordelia era diverso. “Lo sto lustrando,” disse. “Ne ha bisogno. Tutti i romanzi vanno lustrati, come i diamanti.”
“O le scarpe,” aggiunse lui, ironico. “Stavo pensando di scrivere a mia volta un libro. Su un fantasma che si sente davvero molto, molto annoiato.”
“Forse,” gli suggerì Lucie, “dovresti scrivere un romanzo su un fantasma che ha una devotissima sorella e una devotissima… amica che passano gran parte del loro tempo cercando di trovare un modo per non farlo più essere un fantasma.”
Jesse non rispose. Lucie aveva avuto l’intenzione di divertirlo, ma gli occhi di Jesse si erano fatti scuri e seri. Era strano come pure da fantasmi gli occhi restassero lo specchio dell’anima. E Lucie sapeva con certezza che Jesse un’anima l’aveva. Ed era un’anima viva tanto quanto qualunque altra cosa viva, disperata di tornare di nuovo libera nel mondo, e di non essere condannata a vivere un’esistenza a metà, cosciente solo di notte.
Jesse si voltò verso il finestrino. Stavano attraversando Piccadilly Circus, quasi deserta a quell’ora così tarda. La statua di Eros al centro era leggermente spolverata di neve; un vagabondo solitario dormiva sui suoi gradini. “Non sperare così tanto, Lucie. A volte può essere pericoloso.”
“L’hai detto anche a Grace?”
“Non mi ascolta. Neanche una parola. Non… Non voglio che tu poi ti senta delusa.”
Lucie allungò una mano ancora fasciata dal guanto blu. Sembrava che Jesse la stesse osservando attraverso il lieve riflesso sul vetro del finestrino, sebbene non potesse vedere anche se stesso. Forse preferiva così.
Jesse voltò la propria mano, alzando il palmo verso l’alto. Dopo essersi sfilata il guanto, Lucie poggiò le proprie dita su quelle di lui con delicatezza. Oh. La sensazione che provava toccandolo – la mano di Jesse era fredda, ma anche lievemente inconsistente, come il ricordo di un contatto. Eppure le faceva correre scintille nelle vene – Lucie quasi le vedeva, simili a lucciole nel buio.
Si schiarì la voce. “Non preoccuparti che io mi senta delusa,” gli disse. “Sono tremendamente impegnata con cose importanti, e ho un matrimonio da preparare, domani.”
Lui a quel punto la guardò, sorridendo quasi con fare riluttante. “Sei la sola a organizzarlo?”
Lucie scosse il capo, facendo tremare i fiori sul suo cappello. “L’unica competente.”
“Oh, vero. Ricordo la scena de La Principessa Segreta Lucie Viene Salvata Dalla Sua Terribile Famiglia in cui la Principessa Lucie batte il Crudele Principe James nell’arte di disporre i fiori.”
“James si era parecchio irritato per quel capitolo,” raccontò Lucie con una punta di soddisfazione. Mentre oltrepassavano dei lampioni, all’interno della carrozza brillarono lampi di luce: in strada c’era un poliziotto che passeggiava solo davanti al portico corinzio dell’Haymarket Theatre.
Non riusciva più a sentire la mano di Jesse contro la sua. Abbassò lo sguardo, notando che le sue dita parevano appoggiate al nulla – sembrava che ora Jesse fosse del tutto immateriale, anziché in parte. Lucie aggrottò le sopracciglia, ma lui stava già allontanando la mano, lasciandola col dubbio di esserselo solo immaginato.
“Suppongo che domani tu e Grace vi vedrete,” disse Jesse. “Pare che non le importi del matrimonio, e che auguri a tuo fratello ogni bene.”
Lucie non poté non domandarsi se fosse vero. Grace era un argomento che lei e Jesse potevano solo toccare alla lontana. Non li incontrava mai allo stesso tempo, visto che Jesse giaceva incosciente durante il giorno, e che Grace aveva difficoltà ad allontanarsi dai Bridgestock e da Charles di notte; Jesse andava spesso a visitarla, ma non raccontava mai a Lucie delle loro conversazioni. Nonostante lei e Grace stessero lavorando insieme per salvarlo, l’argomento di ciò che lui era adesso era piuttosto scomodo.
Jesse sembrava sapere che Grace si era fidanzata con Charles per avere protezione da Tatiana, e che James e Cordelia stavano per sposarsi per salvarle la reputazione. Pareva pure convinto che fosse la cosa giusta. Ma amava di un amore molto protettivo la sorella, e Lucie non aveva voglia di raccontagli di come temesse che Grace aveva spezzato il cuore di James.
Soprattutto non mentre aveva ancora bisogno dell’aiuto di Grace.
“Beh, mi fa piacere saperlo,” rispose alla svelta. Dopo essere svoltati in Shoe Lane, passarono attraverso i cancelli di ferro dell’Istituto e giunsero nel cortile. La cattedrale si erigeva davanti a loro, scura e imponente contro il cielo. “Quando… Quando ti vedrò di nuovo?”
Desiderò immediatamente di non averlo chiesto. Jesse si presentava sempre, perdendo di rado più di una notte tra un incontro e l’altro. Non avrebbe dovuto fargli pressioni.
Lui le rivolse un sorriso un po’ triste. “Vorrei potermi presentare al matrimonio. È un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto vederti con indosso il tuo abito da suggenes. Somigliava ad ali di farfalla.”
Lucie gli aveva mostrato la stoffa – una seta iridescente color pesca-lavanda – in precedenza, ma la sorprese scoprire che la ricordava. Nell’Istituto si stavano accendendo le luci; Lucie sapeva che i suoi genitori sarebbero presto emersi dalla porta per darle il bentornata. Si allontanò da Jesse, sporgendosi per recuperare il guanto caduto, proprio mentre il portone d’ingresso si spalancava, riversando una calda luce giallastra sul lastricato.
“Forse domani notte…” cominciò a dire, ma Jesse era già andato via.
Un mucchio di grazie a tutte le persone che mi hanno aiutato con la stesura di questa storia e hanno anche contribuito a farmi andare avanti durante i tanti giorni cupi del 2020. Grazie alla mia intrepida assistente, Emily Houk; al mio angelo ricercatore, Clary Goodman; alle mie compagne di scrittura Holly Black e Kelly Link, oltre che a Robin Wasserman, Steve Berman, Jedediah Berry, Elka Cloke, Kate Welsh e Maureen Johnson. Grazie a Fariba Kooklan e Marguerite Maghen per l’aiuto con il farsi, e a Sarah Ismail per aver tradotto la poesia di Baudelaire con cui si apre il secondo capitolo. Grazie sempre ai miei agenti, Jo Volpe e Suzie Townsend, e alla mia editor, Karen Wojtyla. Abbracci a Cat e Rò per avermi rallegrata [NdRò: *Piange tutte le sue lacrime per la commozione*]; come sempre gratitudine alla mia famiglia e, ovviamente, tutto il mio amore a Josh: ho finito i modi per esprimere quanto tu sia importante per me.
Grazie infinite per la dedizione e l’impegno per questa traduzione! Adesso non so leggere questi due capitoli o meno…se li leggo non so se resisto all’attesa fino all’uscita del libro, se non li leggo non so se resisto alla curiosità <3
Oh mio Dio!!! Grazie davvero per la traduzione! Ma adesso come facciamo ad aspettare fino a marzo?!?!?
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