Shadowhunters, buon pomeriggio!
Come forse saprete o ricorderete, Cassie ha annunciato che a partire da maggio, fino a marzo del prossimo anno, pubblicherà dei racconti su The Last Hours, per aiutarci a conoscere meglio i personaggi… e ieri la prima storia è arrivata agli iscritti della sua newsletter. ;D
Ve l’abbiamo tradotta, e non vediamo l’ora di conoscere le vostre impressioni su questo primo “assaggio” di TLH. <3 Buona lettura!
PS: dopo un breve consulto con Cassie stessa e con alcuni altri fansite, abbiamo deciso che prima di pubblicare ogni storia aspetteremo un giorno. U___U Quindi aspettatevi le nostre traduzioni il giorno dopo l’invio della newsletter più o meno a quest’ora.
Londra, 1900
A quell’ora James non si sarebbe dovuto trovare in giro da solo. Uno Shadowhunter che vaga per le strade della città dopo il tramonto è fondamentalmente di pattuglia, che lo voglia o meno – e James aveva solo quattordici anni, non era neanche vicino a terminare il suo addestramento, non aveva applicato nessuna runa adatta al combattimento e portava solo una spada angelica infilata nella cintura.
Peggio ancora, non aveva alcuna ragione di starsene lì fuori. Sin da quando Matthew, Christopher e ora anche Thomas erano tornati a Londra con le loro famiglie, James si era ritrovato con un eccesso di energia, con la sensazione che qualcosa di importante stesse per succedere, anche se non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Se n’era stato a letto cercando di dormire, ma i suoi pensieri avevano continuato a guizzare in giro come uccelli agitati. Aveva pensato alle conversazioni che voleva avere con i suoi amici, a Grace, alla sua imminente cerimonia parabatai, alle sue visioni di terre d’ombra e alberi inariditi. Nella sua testa, aveva passato in rassegna complicate manovre di combattimento col coltello. Alla fine si era arreso, aveva indossato degli abiti civili ed era uscito a fare una passeggiata. I suoi genitori non sarebbero stati felici, se lo avessero scoperto, ma James era certo che sarebbe andato tutto bene, dal momento che aveva intenzione di allontanarsi dall’Istituto al massimo di qualche isolato.
Ciò che aveva in mente, mentre passeggiava, erano i suoi amici, e quanto fosse frustrante cercare di avere con loro cose semplici come una conversazione privata. Non si era reso conto, rifletté aspramente, di quanto facile fosse stato all’Accademia, e di quanto irritante si sarebbe poi rivelato a Londra. Casa sua era l’Istituto di Londra, e Shadowhunters sconosciuti non avrebbero mai smesso di arrivare. Casa di Matthew, la residenza del Console, aveva lo stesso problema. (E poi in genere c’era sempre Charles, che li osservava tutti con occhi penetranti.) Casa di Thomas era troppo distante, a Golders Green. E casa di Christopher, a Bedford Square, era a sua volta un problema. Zia Cecily aveva partorito da poco un bambino, e zio Gabriel non smetteva di andare a intimare loro di non svegliarlo.
“Ciò che ci serve è un club per gentiluomini,” avrebbe detto Matthew. Ma erano tutti troppo giovani per unirsi a club del genere. “Allora ne creeremo uno nostro,” avrebbe borbottato Matthew.
Perso nei suoi pensieri, James non si rese conto di aver attraversato un vicolo stretto e completamente deserto e non notò, se non quando era ormai davvero troppo tardi, i tre demoni Kuri che stavano strisciando sulla tenda da sole della farmacia e che, una volta capito che James era in grado di vederli, gli si lanciarono contro. Riuscì a eliminarne uno, ferirne un altro e respingere il terzo, ma non prima che uno di loro gli conficcasse una zanna nel braccio e tracciasse una linea che andava dal gomito al polso.
James rimase lì nel vicolo, a stringersi con forza il braccio e imprecare. Ben fatto, James, vecchio mio. Sembrava che un cavo incandescente gli stesse venendo conficcato nel braccio. Non poteva fare altro che tornarsene a casa e svegliare almeno uno dei suoi familiari. Non sarebbe riuscito a rientrare attraverso la finestra di camera sua; avrebbe dovuto utilizzare la porta d’ingresso. E si sarebbe dovuto ripulire la ferita nel catino del piano di sopra, cosa che l’avrebbe inevitabilmente costretto ad affrontare le conseguenze del suo gesto.
O forse no? A quell’ora le strade erano silenziose ma, mentre attraversava Fleet Street, James si imbatté in un pub ancora attivo e rumoroso. Con un pizzico di interesse, si rese conto che era stato nascosto agli occhi dei mondani con un incantesimo. Si chiama Taverna del Diavolo, stando all’insegna, su cui era ritratto un uomo che tirava il naso di un demone cornuto.
Quando James entrò, il chiacchiericcio si interruppe brevemente, per permettere agli avventori del pub di dare una bella occhiata al nuovo arrivato. James si rese immediatamente conto che il posto era pieno di Nascosti, il che aveva senso. Un gigantesco uomo dai capelli grigi, chiaramente un licantropo, stava spillando una pinta di sangue schiumoso per un vampiro dall’aria anziana vicino al bancone, ma si interruppe quando James entrò nella sala. Ci fu un breve brusio per la presenza nel loro bar di un bambino chiaramente troppo giovane per trovarsi lì da solo, e poi tutti videro i Marchi di James, e partì un nuovo brusio, meno amichevole.
Forse si sbagliava, ma James pensò che voltarsi e scappare sarebbe stato solo un modo per attirare altri problemi, quindi si fece coraggio e raggiunse la mastodontica figura che si occupava del bar.
“Salve,” esordì. “Sono terribilmente spiacente, ma ho ricevuto una piccola ferita, e mi chiedevo se per caso qui aveste una bacinella e dell’acqua che potrei utilizzare.”
Il licantropo lo scrutò dall’alto, la pinta ancora stretta in mano. Dopo un momento disse, con voce sorprendentemente bonaria: “Non vengono molti Shadowhunters qui, ragazzo. E neanche molti bambini. Ed è incredibilmente raro che ci arrivi una combinazione di queste due cose.”
James non esitò. “Non voglio creare problemi. Mi serve solo un posto dove occuparmi di questa ferita e poi me ne andrò.”
Il licantropo esaminò la furiosa striscia rossa sul braccio di James. “Cosa ti ha colpito?”
“Un demone Kuri,” gli rispose James. Quando il barista lo osservò confuso, aggiunse: “Una sorta di ragno grande quanto una palla medica. Un po’ più grande, in effetti.”
Il barista grugnì. “Meglio a te che a me.” Guardò James più da vicino. “Aspetta, ti riconosco. Sei il figlio di Will, non è vero?”
James sgranò gli occhi. “Conosci mio padre?”
“Ohi! Ernie!” si inserì il vampiro anziano, sbattendo la mano sul bancone.
“Cosa? Ah.” Il barista, il cui nome pareva essere Ernie, sistemò la pinta di sangue davanti al vampiro, che alzò gli occhi al cielo e si voltò per chiacchierare con i suoi compagni.
“Lo conoscevo,” riprese Ernie. “Non lo vedo da anni, ma un tempo veniva qui di continuo. Brav’uomo. Gli Shadowhunters sono un male per gli affari, in genere, ma tuo padre era un ammaliatore, lo era davvero. Faceva sentire tutti a loro agio. Aveva davvero talento per questo.”
James non sapeva come rispondere. “Personalmente, a me piace,” azzardò.
Ernie eruppe in una risata. “Ovvio che sì,” gli rispose. “Senti, ci sono delle stanze al piano di sopra, risalgono a quando le affittavamo. Molto prima che arrivassi io, bada. Là c’è un catino che puoi utilizzare. Non dovrai andare a casa a dire a tuo padre che ti hanno fracassato. So com’è.”
James non era certo che Ernie sapesse com’era, ma lo ringraziò e seguì le sue indicazioni fino al piano di sopra. Trovò una serie di stanza interconnesse con vari pezzi di arredamento, tutti coperti da stoffa ingiallita dal tempo.
Si lavò la ferita nel catino e si preparò a disegnarsi un Marchio per curarsi e alleviare il dolore. Molte delle stanze erano piccole e poco accoglienti, ma una doveva essere stata un qualche tipo di salotto, un tempo; aveva alte finestre che davano sulla strada e un caminetto amabilmente piastrellato in un angolo. A James parve chiaro che, se solo fosse stata ripulita un po’ e arredata con i mobili giusti, sarebbe potuta diventare una bella stanza.
Tornò al piano inferiore e ringraziò Ernie, che gli disse di mandare Will lì da lui per una bevuta, un giorno o l’altro. James esitò, desiderando di chiedere a Ernie della stanza. Sarebbe stata una mossa sfacciata, e aveva già abusato dell’ospitalità di Ernie più di quanto non fosse rispettabile fare, ma era a Londra, ed erano a Londra anche i suoi amici, ed era innamorato, e tutto era diverso. Quindi si sporse in avanti e disse: “Senti, Ernie, posso chiederti una cosa sulla camera al piano di sopra? Quella grande?”
*
“Et voilà,” disse James, facendo un ampio gesto in direzione del salotto al piano superiore della Taverna del Diavolo. Erano passati un paio di giorni, e James aveva radunato i suoi amici per una missione che si era rifiutato di spiegare loro. Matthew, Christopher e Thomas erano parsi dubbiosi, mentre James li conduceva attraverso il piano terra di un pub di Nascosti, ma l’avevano seguito coraggiosamente. Ernie salutò James con un cenno mentre superavano il bancone, e Thomas e Christopher si scambiarono un’occhiata stupefatta.
Adesso si trovavano nell’ampia camera, che nei pomeriggi soleggiati si rivelava decentemente illuminata dalla luce che filtrava attraverso le tendine delle sue finestre alte e strette. James rimosse con fare drammatico un lenzuolo da una poltrona spaziosa e dall’aria comoda e la indicò.
Matthew fu il primo a capire. “James, vecchio volpone!” gli disse con una risata. “Ci hai trovato un club!”
“E ora?” domandò educatamente Christopher.
“Il proprietario ha detto che, se ripuliamo, possiamo utilizzare la stanza come ci pare,” spiegò James. “A patto di ordinare dei drink mentre ci troviamo qui.”
“Credo,” disse Thomas, “che sia uno scambio più che equo.”
“Possiamo lasciare le cose che non ci servono nella stanza qui dietro,” aggiunse James. “Ci sono anche altre sedie e oggetti che potremmo voler portare qui dentro.”
“E tutto avrà bisogno di essere vigorosamente spolverato,” si inserì Matthew. “Ma meraviglioso. Tutto ciò è meraviglioso.”
Anche sul volto di Thomas si stava disegnando un sorriso. “Ci porterò anche qualche libro, penso. I libri rendono un posto più simile a una casa. Oso ammettere che non ero troppo convinto di tornare a vivere a Londra, all’inizio,” aggiunse.
“Oh, adesso diventeremo veri e propri londinesi, con una camera privata al piano superiore di un pub e una pinta in attesa ogni volta che ce ne servirà una.” Matthew si sfregò le mani. “James, è un piacere vederti nel tuo elemento. Mi è sempre parso come se non sapessi cosa fare, all’Accademia, ma qui in città sei tu la nostra guida e il nostro leader.”
James si aspettava che Christopher e Thomas protestassero, visto che Matthew l’aveva definito il loro leader, ma parvero soddisfatti e basta.
“Sono felice che voi siate qui,” disse James. “Sono felice che siamo tutti qui insieme.”
Aveva la sensazione che qualcosa avesse trovato il suo posto, dentro di lui; un qualcosa che sin da quando era tornato dall’Accademia era rimasto in agitazione e che ora, sorprendentemente, si sentiva a casa.
[…] di TLH che ieri Cassie ha inviato agli iscritti della sua newsletter (i primi li trovate tradotti qui e […]
[…] Buon pomeriggio, Shadowhunters! Ieri è arrivata, puntuale come un orologio svizzero, la nuova storia di The Last Hours… e questa volta Cassie ci catapulta nel 1897, tre anni prima del precedente racconto (che potete recuperare qui!). […]
Cassie è splendida! Non vedo l’ora di leggere la storia di questi personaggi! Grazie per viziarci così 🙂
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