Buon pomeriggio, Shadowhunters!
Come saprete già se ci seguite su Facebook, ieri sera Cassie ed Entertainment Weekly hanno deciso di viziare i lettori, e a questo link/qui in basso potere trovare un lunghissimo estratto di Queen of Air and Darkness! Si tratta più o meno di metà del secondo capitolo del romanzo, “Melancholy Waters”, e… beh, non pensiamo di potervi anticipare altro (né sul capitolo, né ovviamente sul romanzo). 😉
Buona lettura! Fateci sapere che ve n’è parso di questo corposissimo estratto!
Cristina se ne stava con fare disperato nella cucina estremamente pulita della casa sul canale di Princewater Street, e desiderava tra sé che ci fosse qualcosa da poter riordinare.
Aveva lavato dei piatti che non ne avevano bisogno. Aveva passato lo straccio sul pavimento e apparecchiato più volte la tavola. Aveva messo dei fiori in un vaso, li aveva buttati e poi aveva recuperato il mazzo dalla spazzatura e l’aveva sistemato di nuovo. Aveva voluto rendere la cucina carina, la casa graziosa, ma a qualcuno sarebbe davvero importato di avere una cucina carina e una casa graziosa?
Sapeva che la risposta era no. Però aveva sentito il bisogno di fare qualcosa. Voleva stare con Emma e confortarla, ma Emma si trovava insieme a Drusilla, che aveva pianto fino ad addormentarsi mentre stringeva le sue mani. Voleva stare con Mark, e confortarlo, ma se n’era andato con Helen, e Cristina non poteva che essere felice che finalmente Mark avesse la possibilità di passare del tempo con quella sorella che gli era mancata così a lungo.
La porta d’ingresso si aprì sferragliando; sorprese così tanto Cristina da farle spingere un piatto giù dal tavolo. Cadde a terra e si frantumò. Cristina stava per raccoglierlo quando vide Julian entrare e chiudere la porta dietro di sé – le rune di chiusura erano più comuni delle chiavi, a Idris, ma Julian non prese il suo stilo: si limitò a spostare lo sguardo vacuo dall’ingresso alle scale.
Cristina si immobilizzò. Julian sembrava il fantasma di un’opera teatrale di Shakespeare. Non si era cambiato gli abiti che indossava nella Sala del Consiglio, chiaramente; la sua maglia e la giacca erano irrigidite dal sangue rappreso.
Cristina non aveva mai davvero saputo come parlargli; sapeva di lui più di quanto la facesse sentire a suo agio, grazie a Emma. Sapeva che Julian era disperatamente innamorato della sua amica; era ovvio nel modo in cui la guardava, in cui le parlava, nei gesti piccoli come il passarle il piatto a tavola. Cristina non capiva come non l’avessero notato anche gli altri. Aveva conosciuto altre coppie di parabatai, e non si guardavano in quel modo.
Avere informazioni così personali su una persona è imbarazzante nel migliore dei casi. E quello non era il migliore dei casi. L’espressione di Julian era vuota; si spostò nell’atrio e, mentre camminava, il sangue rappreso di sua sorella si sgretolò dalla sua giacca e cadde a terra.
Se fosse rimasta immobile, pensò Cristina, forse lui non l’avrebbe vista, e sarebbe salito al piano di sopra, e a entrambi sarebbe stato risparmiato un momento imbarazzante. Ma pure nell’esatto istante in cui formulava quel pensiero, la desolazione sulla faccia di Julian le strappò il cuore. Raggiunse l’ingresso prima di rendersene conto.
“Julian,” lo chiamò a bassa voce.
Lui non parve sorpreso. Si voltò verso di lei, lento come un automa che si è scaricato. “Come stanno?”
Come rispondere a una domanda del genere? “Si stanno prendendo buona cura di loro,” disse alla fine. “Helen è stata qui, e Diana, e Mark.”
“Ty…”
“Sta dormendo.” Si strattonò nervosamente la gonna. Si era cambiata tutti gli abiti che aveva indossato nella Sala del Consiglio, solo per sentirsi pulita.
Per la prima volta, Julian incontrò il suo sguardo. I suoi occhi erano rossi, anche se Cristina non ricordava di averlo visto piangere. O forse aveva pianto mentre stringeva Livvy – questo Cristina non voleva ricordarlo. “Emma,” disse lui. “Sta bene? Tu puoi saperlo. Lei – te lo direbbe.”
“È con Drusilla. Ma sono sicura che le piacerebbe vederti.”
“Ma sta bene?”
“No,” rispose Cristina. “Come potrebbe stare bene?”
Julian spostò lo sguardo verso i gradini, come se non riuscisse neanche a immaginare lo sforzo ci sarebbe voluto per salirli. “Robert ci avrebbe aiutati,” disse. “A me e a Emma. Sai di noi, so che lo sai, che sai ciò che proviamo.”
Cristina esitò, sorpresa. Non aveva mai immaginato che Julian avrebbe parlato di questo con lei. “Forse il prossimo Inquisitore…”
“Sono passato attraverso la Guardia mentre tornavo,” ribatté Julian. “Si stanno già incontrando. La maggior parte dei membri della Coorte e metà del Consiglio. Parlano di chi sarà il prossimo Inquisitore. Dubito che si tratterà di qualcuno disposto ad aiutarci. Non dopo oggi. Dovrebbe importarmi,” concluse lui. “Ma al momento non è così.”
Si aprì una porta in cima alle scale, e un raggio di luce si riversò sul pianerottolo. “Julian?” chiamò Emma. “Julian, sei tu?”
Julian raddrizzò un po’ la schiena, inconsciamente, quando sentì il suono della sua voce. “Arrivo subito.” Non si voltò a guardare Cristina mentre saliva le scale, ma le fece un cenno col capo, un rapido gesto di ringraziamento.
Cristina ascoltò i suoi passi scemare, la sua voce mischiarsi a quella di Emma. Tornò a guardare la cucina. I cocci del piatto rotto erano in un angolo. Avrebbe potuto spazzarli. Sarebbe stata la cosa più pratica da fare, e Cristina aveva sempre pensato di essere una persona pratica. Qualche attimo dopo si era già messa la giacca dell’uniforme sopra ai vestiti. Dopo essersi infilata parecchie spade angeliche nella cintura delle armi, scivolò silenziosamente fuori dalla porta, nelle strade di Alicante.
*
Emma ascoltò il familiare rumore di Julian che risaliva le scale. Il calpestio dei suoi piedi era come una musica che Emma conosceva da sempre, e che era diventata così naturale, per lei, da aver quasi smesso di essere musica.
Resisté all’impulso di chiamarlo di nuovo – era nella camera di Dru, e Dru si era appena addormentata, sfinita, indossando ancora gli abiti che aveva messo per l’incontro del Consiglio. Emma sentì Julian entrare nel corridoio, e poi una porta aprirsi e richiudersi.
Facendo attenzione a non svegliare Dru, Emma scivolò fuori dalla stanza. Non ebbe bisogno di chiedersi dove l’avrebbe trovato: lungo il corridoio, dopo qualche porta, c’era la stanza che aveva preso in prestito Ty.
All’interno, la luce era lieve. Diana era seduta su una poltrona accanto alla parte superiore del letto di Ty, col viso rigido per il dolore e la stanchezza. Kit stava dormendo appoggiato alla parete, le mani in grembo.
Julian era in piedi vicino al letto di Ty, lo sguardo rivolto verso il basso, le braccia lungo i fianchi. Ty dormiva senza inquietudini, in un riposo drogato, coi capelli scuri contro il cuscino bianco. Eppure, persino nel sonno si teneva sul lato sinistro del letto, come se stesse lasciando lo spazio al suo fianco per Livvy.
“…ha le guance arrossate,” stava dicendo Julian. “Come se avesse la febbre.”
“Non ce l’ha,” ribatté fermamente Diana. “Ne ha bisogno, Jules. Il sonno guarisce.” Emma vide il dubbio sul volto di Julian. Sapeva ciò che stava pensando: il sonno non mi ha guarito quando è morta mia madre, o quando è morto mio padre, e non guarirà neanche questo. Sarà sempre una ferita.
Diana spostò lo sguardo su Emma. “Dru?” chiese.
Julian a quel punto alzò gli occhi e incontrò quelli di Emma. Lei sentì il dolore di quello sguardo come se fosse un colpo in petto. Improvvisamente le risultò difficile respirare. “Dorme,” rispose, quasi sussurrando. “Ci è voluto un po’, ma finalmente è crollata.”
“Ero nella Città Silente,” disse Julian. “Abbiamo portato Livvy lì. Ho aiutato a sistemare il corpo.”
Diana si sporse e poggiò una mano sul suo braccio. “Jules,” lo chiamò piano. “Hai bisogno di andare a lavarti, e di riposare un po’.”
“Dovrei restare qui,” ribatté Julian a bassa voce. “Se Ty dovesse svegliarsi e non mi trovasse qui…”
“Non succederà,” rispose Diana. “I Fratelli Silenti sono precisi con le loro dosi.”
“Se si svegliasse e ti vedesse lì in piedi ricoperto dal sangue di Livvy, Julian, non sarà d’aiuto comunque,” disse Emma. Diana si voltò verso di lei, chiaramente sorpresa dalla durezza delle sue parole, ma Julian batté le palpebre come se si stesse risvegliando da un sogno.
Emma protese una mano verso di lui. “Vieni,” gli disse.
*
Il cielo era una mistura di blu scuro e nero, dove le nuvole temporalesche si erano raccolte sopra le montagne in lontananza. Per fortuna, la strada che conduceva alla Guardia era illuminata dalle torce di stregaluce. Cristina scivolò vicino al sentiero, restando nell’ombra. Nell’aria c’era l’odore pungente delle tempeste in arrivo, che le ricordò quello acre del sangue.
Mentre raggiungeva l’ingresso della Guardia, le porte si aprirono, e dal loro interno emerse un gruppo di Fratelli Silenti. Le loro tonache d’avorio sembravano luccicare per colpa di quelle che parevano gocce di pioggia.
Cristina di acquattò contro il muro. Non stava facendo nulla di sbagliato – gli Shadowhunters potevano recarsi alla Guardia in qualunque momento lo desiderassero –, ma d’istinto non voleva essere vista. Mentre i Fratelli la superavano, si rese conto che non era la pioggia a scintillare sulle loro tuniche, ma una sottile spolverata di granelli di vetro.
Dovevano essere stati nella Sala del Consiglio. Cristina ricordò la finestra che si era frantumata verso l’interno mentre Annabel spariva. Quel momento era stato una macchia sfocata di rumore, di luci che si infrangevano: Cristina si era concentrata sui Blackthorn. Su Emma e l’espressione devastata che aveva in viso. Su Mark, col corpo ingobbito in avanti come se stesse assorbendo la forza di un colpo fisico.
L’interno della Guardia era tranquillo. A testa bassa, Cristina avanzò rapidamente lungo i corridoi, seguendo il suono delle voci fino alla Sala. Svoltò per prendere le scale verso i posti al secondo piano, che svettavano sul resto della stanza come la balconata di un teatro. C’era una folla di Nephilim che gironzolavano sul palco. Qualcuno (i Fratelli Silenti?) aveva ripulito il vetro in frantumi e il sangue. La finestra era tornata normale.
Fate sparire le prove quanto vi pare, pensò Cristina mentre si inginocchiava per sbirciare dalla ringhiera della balconata. È successo comunque.
Riusciva a vedere Horace Dearborn, seduto su un alto sgabello. Era un uomo grosso e ossuto, non muscoloso, benché le sue braccia e il collo fossero tesi dai tendini. Sua figlia, Zara Dearborn – i capelli acconciati in una treccia precisa intorno al capo, l’uniforme immacolata – gli stava accanto. Non assomigliava granché al padre, tranne forse per la rabbia severa delle loro espressioni e per la passione che sentivano per la Coorte, una fazione all’interno del Conclave che credeva nella supremazia degli Shadowhunters rispetto ai Nascosti, persino a costo di rompere la Legge.
Intorno a loro erano ammassati altri Shadowhunters, sia giovani che anziani. Cristina riconobbe parecchi Centurioni – tra loro Manuel Casales Villalobos, Jessica Beausejours e Samantha Larkspear –, così come pure molti altri Nephilim che avevano esposto i simboli della Coorte durante l’incontro. C’erano anche abbastanza persone, però, che stando alle informazioni in suo possesso non facevano parte della Coorte. Come Lazlo Balogh, lo spigoloso capo dell’Istituto di Budapest, che era stato uno dei maggiori responsabili della Pace Fredda e dei suoi provvedimenti punitivi contro i Nascosti. Josiane Pontmercy, che Cristina sapeva appartenere all’Istituto di Marsiglia. Delaney Scarsbury che insegnava all’Accademia. Qualche altra persona la riconobbe in quanto amica di sua madre – Trini Castel del Conclave di Barcellona e Luana Carvalho, che gestiva l’Istituto di San Paolo, la conoscevano sin da quando era una bambina.
Erano tutti membri del Consiglio. Cristina recitò una preghiera silenziosa di ringraziamento perché sua madre non era lì, perché era stata troppo impegnata con un attacco di demoni Halphas all’Alameda Central per presentarsi all’incontro, e aveva dato a Diego l’incarico di fare le sue veci.
“Non c’è tempo da perdere,” disse Horace. Trasudava un senso di intensità insensibile, proprio come sua figlia. “Siamo senza un Inquisitore, ora, e questo è un momento critico, in cui siamo minacciati sia dall’esterno che dall’interno del Conclave.” Fece correre lo sguardo per la stanza. “Speriamo che, dopo gli eventi di oggi, quelli di voi che avevano dei dubbi sulla nostra causa abbiano cominciato a crederci.”
Cristina si sentì raggelare dall’interno. Questo non era solo un incontro della Coorte. Stavano reclutando membri. All’interno della Sala del Consiglio deserta, lì dove Livvy era morta. Si sentì nauseata.
“Cosa pensi di aver scoperto, esattamente, Horace?” domandò una donna con un accento australiano. “Sii chiaro, in modo da farlo capire anche a noi.”
Horace ghignò leggermente. “Andrea Sedgewick,” disse. “Eri a favore della Pace Fredda, se ricordo bene.”
Lei sembrava preoccupata. “Non ho una grande opinione dei Nascosti. Ma ciò che è successo qui oggi…”
“Siamo stati attaccati,” annunciò Dearborn. “Traditi, attaccati, sia dentro che fuori. Sono certo che abbiate visto tutti ciò che ho visto io – il sigillo della Corte Unseelie.”
A Cristina tornò in mente. Mentre Annabel spariva, trasportata fuori dalla finestra frantumata della Sala degli Accordi da mani invisibili, era comparsa un’unica immagine nell’aria: una corona spezzata.
La folla mormorò il suo assenso. La paura aleggiava nell’aria come un miasma. Deaborn se la stava chiaramente gustando, e quasi si leccava le labbra mentre faceva scivolare lo sguardo per la stanza. “Il Re Unseelie, che ha colpito proprio nel cuore della nostra terra d’origine. Ci deride per la nostra incapacità di far passare delle Leggi più rigide, di fare qualunque cosa serva per controllare davvero le fate…”
“Nessuno può controllarle,” ribatté Scarsbury.
“Questo è esattamente il tipo di atteggiamento che ha indebolito il Conclave per tutti questi anni,” sbottò Zara. Suo padre le sorrise indulgente.
“Mia figlia ha ragione,” dichiarò. “Le fate hanno le loro debolezze, come tutti i Nascosti. Non sono state create né da Dio né dal nostro Angelo. Hanno difetti, che noi non abbiamo mai sfruttato, eppure loro sfruttano la nostra pietà e ridono di noi di nascosto.”
“Che ci stai suggerendo?” domandò Trini. “Un muro intorno alla Terra delle Fate?”
Scoppiò una risatina derisoria. Quella Terra esisteva ovunque e in nessun luogo: si trovava su un altro livello di esistenza. Nessuno poteva circondarla con un muro.
Gli occhi di Horace si strinsero. “Voi ridete,” disse, “ma delle porte di ferro davanti a tutte le entrate e le uscite della Terra delle Fate farebbero molto per impedire le loro incursioni nel nostro mondo.”
“È questo l’obiettivo da raggiungere?” Manuel parlò in tono strascicato, come se non fosse granché interessato alla risposta. “Bloccare tutta la Terra delle Fate?”
“Non c’è un unico obiettivo, come ben sai, ragazzo,” replicò Dearborn. Improvvisamente sorrise, come se avesse appena realizzato qualcosa. “Sai dell’avvizzimento, Manuel. Forse potresti condividere le informazioni che possiedi, dal momento che il Console non l’ha fatto. Forse questa brava gente dovrebbe essere a conoscenza di ciò che succede quando le porte tra la Terra delle Fate e il mondo sono spalancate.”
Tenendo stretta la sua collana, Cristina si sentì fremere di rabbia mentre Manuel descriveva le chiazze di terra avvizzita nella Foresta di Borcelind: il modo in cui resistevano alla magia Shadowhunters, il fatto che quello stesso avvizzimento sembrasse esistere anche nelle Terre Unseelie. Come faceva a saperlo? Cristina si angosciò in silenzio. Queste erano le informazioni che Kieran avrebbe dovuto condividere con il Consiglio, e che non aveva avuto la possibilità di rivelare. Come aveva fatto Manuel a scoprirlo?
Si sentì solo grata che Diego avesse ascoltato la sua richiesta e portato Kieran alla Scholomance. Era chiaro che nessuna fata completa sarebbe stata al sicuro, lì.
“Il Re Unseelie sta creando un veleno e ha iniziato a spargerlo nel nostro mondo – un veleno che renderà gli Shadowhunters inermi contro di lui. Dobbiamo agire subito per mostrargli la nostra forza,” disse Zara, inserendosi nel discorso di Manuel prima che lui avesse finito.
“Proprio come ti sei mossa tu contro Malcolm?” domandò Lazlo. Ci furono dei risolini, e Zara avvampò – aveva orgogliosamente affermato di aver ucciso Malcolm Fade, un potente stregone, ma questa dichiarazione si era poi rivelata essere una bugia. Cristina e gli altri avevano sperato che questo sarebbe bastato a screditare Zara – ma ora, dopo ciò che era successo con Annabel, la bugia di Zara era diventata un po’ più di un semplice scherzo.
Dearborn si alzò in piedi. “Non è questo il problema, adesso, Balogh. I Blackthorn hanno del sangue di fata nella loro famiglia. Hanno portato loro quella creatura – un essere necromantico mezzo morto che ha massacrato il nostro Inquisitore e riempito la Sala di sangue e terrore – ad Alicante.”
“Anche una loro sorella è stata uccisa,” disse Luana. “Abbiamo visto il loro dolore. Non hanno programmato loro ciò che è successo.”
Cristina riusciva a vedere le macchinazioni che stavano avvenendo nella testa di Dearborn – sarebbe stato felice di dare la colpa ai Blackthorn e di vederli tutti gettati nelle prigioni della Città Silente, ma lo spettacolo di Julian che stringeva il corpo di Livvy mentre la sorella moriva era ancora troppo fresco e viscerale persino per essere ignorato dalla Coorte. “Anche loro sono delle vittime,” affermò allora, “del principe della Gente Fatata di cui si sono fidati, e forse anche dei loro stessi consanguinei fatati. Forse sarà possibile mostrare loro un punto di vista ragionevole. Dopotutto, sono Shadowhunters, ed è questo che fa la Coorte – protegge gli Shadowhunters. Protegge i nostri.” Posò una mano sulla spalla di Zara. “Quando la Spada Mortale verrà ripristinata, sono certo che Zara sarà lieta di mettere a tacere qualunque dubbio abbiate sui risultati che ha ottenuto.”
Zara arrossì e fece un cenno d’assenso col capo. Cristina pensò che avesse un’aria colpevole come il peccato, ma il resto della folla si era lasciato distrarre dall’accenno della Spada.
“La Spada Mortale, ripristinata?” chiese Trini. Come la famiglia di Cristina, anche lei credeva profondamente nell’Angelo e nel suo potere. Ora aveva un’espressione ansiosa; le sue mani sottili le si agitavano in grembo. “Il nostro legame insostituibile con l’Angelo Raziel – credi che tornerà da noi?”
“Verrà ripristinata,” rispose Dearborn in tono suadente. “Jia si incontrerà domani con le Sorelle di Ferro. Come è stata forgiata una volta, può essere forgiata di nuovo.”
“Ma è stata forgiata nel Cielo,” protestò Tini. “Non nella Cittadella.”
“E il Cielo l’ha spezzata,” ribatté Dearborn, e Cristina soppresse un sussulto. Come poteva affermare qualcosa di così sfacciato? Eppure gli altri si fidavano chiaramente di lui. “Nulla può infrangere la Spada Mortale, eccetto la volontà di Raziel. Ci ha osservati e si è reso conto che siamo immeritevoli. Ha visto che ci siamo allontanati dal suo messaggio, dal nostro servizio agli angeli, e che stavamo invece servendo i Nascosti. Ha spezzato la Spada per avvertirci.” I suoi occhi scintillarono di una luce fanatica. “Se dovessimo mostrarci di nuovo meritevoli, Raziel lascerà che la Spada venga forgiata di nuovo. Non ne dubito.”
Come osa parlare per Raziel? Come osa parlare come se fosse un Dio? Cristina tremava di rabbia, ma gli altri sembravano osservarlo come se avesse offerto loro la luce in mezzo alle tenebre. Come se fosse la loro unica speranza.
“E come faremo a dimostrarci meritevoli?” chiese Balogh con voce più austera.
“Dobbiamo ricordarci che gli Shadowhunters sono stati scelti,” replicò Horace. “Dobbiamo ricordarci di avere un mandato. Siamo i primi a combattere il male, e dunque noi veniamo prima. Lasciate che i Nascosti badino ai loro simili. Se noi lavoreremo insieme con una guida forte…”
“Ma non abbiamo una guida forte,” disse Jessica Beausejours, una delle amiche di Zara. “Abbiamo Jia Penhallow, che è macchiata dal legame di sua figlia con le fate e i mezzisangue.”
Ci fu un sussulto e una risatina. Tutti gli occhi si puntarono su Horace, che ora si limitava a scuotere il capo. “Non pronuncerò nessuna parola contro il nostro Console,” disse sussiegosamente.
I mormorii aumentarono. Chiaramente la finta lealtà di Horace gli aveva fatto guadagnare un po’ di supporto. Cristina si sforzò di non digrignare i denti.
“La sua lealtà nei confronti della famiglia è ammirevole, anche se potrebbe averla accecata,” affermò Horace. “L’unica cosa ad avere importanza, adesso, sono le Leggi che approverà il Conclave. Dobbiamo applicare delle rigide restrizioni ai Nascosti, e ancora più rigide dovranno essere quelle per la Gente Fatata – che in sé non ha7 nulla di equo.”
“Questo non basterà a fermare il Re Unseelie,” protestò Jessica, anche se Cristina aveva la sensazione che non dubitasse granché di Horace, e fosse piuttosto interessata a farlo continuare.
“Il problema è impedire alle fate e agli altri Nascosti di unirsi alla causa del Re,” disse Horace. “Ecco perché vanno osservati e, se necessario, incarcerati prima che abbiano la possibilità di tradirci.”
“Incarcerati?” ripeté Trini. “Ma come…?”
“Oh, di modi ce ne sono molti,” rispose Horace. “L’Isola di Wrangel, per esempio, potrebbe ospitare un gruppo di Nascosti. L’importante è cominciare con il controllo. Rafforzando gli Accordi. Registrando ogni singolo Nascosto, il loro nome e il luogo in cui si trovano. Dovremmo cominciare fon le fate, ovviamente.”
Ci fu un ronzio d’approvazione.
“Avremo ovviamente bisogno di in Inquisitore forte, che faccia approvare e rafforzare le leggi,” aggiunse Horace.
“Allora siilo tu!” urlò Trini. “Abbiamo perso la Spada Mortale e un Inquisitore, stanotte; permettici almeno di rimpiazzare una di queste cose. Abbiamo il quorum – ci sono abbastanza Shadowhunters, qui, per proporre Horace per l’incarico di Inquisitore. Possiamo tenere le votazioni domattina. Chi è con me?”
Una cantilena di: “Dearborn! Dearborn!” riempì la stanza. Cristina si teneva alla ringhiera della balconata con le orecchie che le fischiavano. Non poteva star succedendo. Non poteva. Trini non era così. Le amiche di sua madre non erano così. Non poteva essere questa la vera faccia del Consiglio.
Si tirò in piedi, incapace di restare lì ferma per un altro secondo, e scattò fuori dalla galleria.
O mio dio! Non posso resistere! Tutti questi estratti e ancora un mese di attesa!
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