Shadowhunters, finalmente riusciamo a pubblicarvi l’extra di cui parlavamo ieri. 😉 E pensiamo di non dover aggiungere altre spiegazioni, visto che il titolo del post *indica* è abbastanza chiaro.
Chiediamo solo ai minorenni (almeno quelli più suscettibili. Per favooore) di non proseguire con la lettura, e ai fan della coppia Mark/Cristina che proprio non reggono Mark e Kieran insieme di chiudere la pagina: ci saranno altri extra più adatti a voi, ne siamo sicure! :*
PS: il pezzo in corsivo all’inizio della storia viene da Signora della Mezzanotte. 🙂 E sia all’inizio che alla fine ci sono delle parole di Cassie tra virgolette. <3
« Stars to Burn: Kieran/Mark (Rating: R [NdT: per la serie, VM18])
Una storia breve sul primo bacio/sulla prima volta di Kieran e Mark. Si svolge prima di tutti gli eventi di Signora della Mezzanotte, quindi veri spoiler non ce ne sono. Se la coppia Kieran/Mark non è il tuo genere, questo racconto è canon, ma non c’è niente al suo interno che dobbiate disperatamente sapere, quindi sentitevi liberi di saltarlo!
L’illustrazione è opera dell’adorabile Loweana. »
Di notte dormivano abbracciati sotto la coperta di Kieran, che era fatta di un materiale fittamente intrecciato e sempre caldo. Una notte si erano fermati sulla cima di una collina, in un posto verde e al nord. C’era un cairn di roccia sulla sua vetta, una costruzione fatta dai mondani migliaia di anni prima. Mark si era appoggiato contro la parete e aveva fatto correre lo sguardo dal terreno verde, che al buio sembrava argenteo, al mare lontano. Il mare, aveva pensato, era lo stesso ovunque, si trattava della stessa acqua che si infrangeva contro le coste di quel luogo che lui continuava a considerare casa sua…
Dalla cima del Mynydd Mawr era possibile vedere il Mare d’Irlanda. Da qualche parte in quell’oceano, pensò Mark, c’era il paese in cui era cresciuto e, lontano, sulla sua costa ovest, c’era Los Angeles, il luogo in cui vivevano i suoi fratelli e le sue sorelle.
La sommità della montagna era ricoperta da erba bassa e verde, e la vetta scendeva in lunghi pendii pietrosi allungandosi in un panorama fatto di ancora più verde – un miscuglio di verderame punteggiato dalle linee grigie delle pareti di pietra delle fattorie. Il cavallo di Kieran, Windspear, stava brucando l’erba lungo il fianco della montagna, mentre la cavalla di Mark vagava in cerca di qualcosa di emozionante; a lui sembrava improbabile che riuscisse a trovare dell’eccitazione in un angolo così tranquillo del Galles.
Le nuvole correvano attraverso il cielo, basse e scure, promettendo un temporale. Mark guardò Kieran, che stava lavorando per creare loro un rifugio. Aveva sistemato due mantelli – quelli della Caccia Selvaggia erano fatti di un materiale fibroso molto forte, resistente alla pioggia – sulla cima mezza collassata di un cairn di pietra.
Mark lo osservò metterne un terzo all’interno del cairn, sull’erba e la terra dura. I suoi gesti erano quelli tipici delle fate: sprecavano poca energia ed erano pieni di grazia. Sotto la pioggia argentea e leggera, la sua pelle sembrava fatta di puro argento; enfatizzava l’ossatura sottile del suo volto, delle sue mani. Quando batté le palpebre, le sue ciglia bluastre riflessero la luce.
Come Mark, i suoi vestiti erano logori e malconci; c’erano dei fori nella sua maglia di lino che permettevano a Mark di cogliere degli accenni tentatori di pelle. Sentì il calore risalirgli sulle guance. Non sapeva perché stesse pensando a una cosa simile, o perché stesse guardando Kieran in quel modo: era un suo amico, nient’altro. E si trattava pure di una specie di amico strano, imprevedibile. Spesso a Mark veniva ricordato che la condizione di principe di Kieran rendeva le vite di entrambi più semplici, nella Caccia – se fosse stato solo non avrebbe avuto il permesso di allontanarsi dal gruppo principale e accamparsi sulla montagna. Avrebbe dovuto unirsi alla stessa festa a cui stava partecipando il resto della Caccia, insieme ai locali goblin, pixie e quant’altro. Ma il desiderio di Kieran di avere privacy veniva rispettato, almeno nei limiti del rispetto concesso dalla Caccia.
Kieran era lunatico, però: il suo umore cambiava con la stessa frequenza del colore dei suoi capelli. Era come l’acqua in cui aveva vissuto la nixie che era sua madre – a volte dolce e generoso, altre duro e tempestoso. Non che Mark lo biasimasse perché era infelice nella Caccia, sebbene Kieran, a differenza sua, non avesse dovuto lasciare nessuna famiglia adorata.
“Vieni qui.” Kieran allungò una mano verso di lui. “Oppure stavi pensando di inzupparti sotto la pioggia?”
“Non mi dispiacerebbe una doccia.” La pelle di Mark aveva appena iniziato a formicolare per via delle prime gocce di pioggia.
“Sei abbastanza pulito,” rispose Kieran: Mark immaginò che fosse vero; si erano entrambi fatti il bagno nel lago Cwellyn, prima. Mark amava guardare Kieran nuotare; poteva vedere la fata acquatica nel suo sangue, mentre si muoveva sotto la superficie, rapido e agile come una lontra, oppure quando si alzava per scrollare le gocce d’acqua argentea dai capelli.
Il cielo su di loro si aprì, e Mark corse a ripararsi nel cairn, sotto al tetto fatto di mantelli. C’era più spazio di quanto avesse immaginato, e Kieran aveva acceso un fuocherello nella parte più estrema del piccolo rettangolo. Il fumo usciva attraverso l’apertura tra le rocce. Mark poteva avvertire l’umidità della terra anche attraverso la coperta, ma i mantelli tenevano fuori la pioggia.
“Penso che questo fosse un tumulo, un tempo,” commentò Kieran, guardandosi intorno. “Dove seppellivano i morti.”
Mark finse un brivido. Kieran gli lanciò un’occhiata incuriosita. Le fate trovavano la morte strana, perché per loro avveniva solo quando avevano centinaia di anni. La morte in combattimento era diversa: rispettata e non seccante. Non avevano propriamente il concetto di “morboso”.
Mark si stese sulla coperta e intrecciò le dita sulla pancia. Riusciva a sentire il battito nella parte alta dello stomaco, proprio sotto le costole. Associava quella sensazione alla fame, ai morsi dell’appetito, ma lui e Kieran avevano mangiato da poco, e nella bisaccia di Windspear c’era persino del pane.
“Stai bene?” Al buio gli occhi di Kieran erano entrambi argentati; la luce si rifletteva al loro interno come su uno specchio. I suoi capelli erano intrecciati, lunghi fino al mento; se li era tagliati da soli osservando il suo riflesso nel lago poco tempo prima. Mark moriva dalla voglia di toccarli, per scoprire se fossero spessi e morbidi come sembravano.
Doveva smetterla di fare pensieri del genere su Kieran. L’aveva visto baciare sia ragazzi che ragazze, alle feste, e a volte fare anche altro. Ma il problema non era questo. Kieran era un principe, e Mark uno Shadowhunter mezzosangue. Persino un principe nella Caccia Selvaggia avrebbe guardato con disprezzo uno con sangue umano. Si chiedeva, a volte, se Kieran non lo vedesse come una specie di mascotte o un portafortuna, una persona utile e divertente da avere intorno: rideva spesso dei modi di dire umani di Mark e della sua confusione – persino dopo tutto questo tempo – davanti ai costumi delle fate.
Kieran si stese accanto a Mark. Per un attimo, respirarono in un silenzio gioviale. Ma per Mark riposare accanto a Kieran era difficile; era troppo consapevole dell’altro ragazzo, del calore del suo corpo, della sua presenza, della leggera sensazione di solletico che gli provocavano i suoi capelli contro la spalla quando Kieran voltava la testa. Si mosse, a disagio, con un calore che gli cresceva nella parte bassa della pancia.
“Non potrai vedere le stelle, stanotte,” disse Kieran. “Le nuvole le offuscheranno.”
Kieran conosceva la strana abitudine di Mark. Ogni notte, prima di addormentarsi, cercava con lo sguardo le sei stelle che brillavano di più in cielo e dava loro i nomi dei suoi fratelli e delle sue sorelle: Helen, Julian, Tiberius, Livia, Drusilla, Octavian. Stelle diverse splendevano luminosamente in punti diversi e con climi diversi; non pensava di aver mai scelto per due volte la stessa.
Sono qui, vivo in questo mondo proprio come voi, famiglia mia, pensava, tracciando delle linee invisibili tra le stelle. Come stava passando il tempo, per loro?, si domandava di quando in quando: Tavvy sapeva allacciarsi le scarpe, adesso? La voce di Julian era arrochita? Livvy aveva imparato a usare per bene la sciabola? Dru amava ancora i colori brillanti? Helen e Aline erano felici? Ricordava il giorno in cui si erano incontrate, in Italia, durante tutta quella strana faccenda; quanto delirante d’amore fosse stata Helen quando era tornata a casa.
Ma c’erano altre cose che gli annebbiavano la mente, a volte, ricordi che avevano smesso di essere vividi. Il tipo di musica che amava Ty – era la classica, ma qual era la sua fuga di Bach preferita? Un tempo Mark lo sapeva. E magari col tempo era cambiata. Era Dru quella che amava i film, o Livvy? Jules dipingeva con i colori a olio o con gli acquerelli?
“Mio Mark,” disse Kieran. Si era sollevato su un gomito e guardava Mark da una strana angolazione. “Dimmi cosa ti turba.”
Mark rabbrividì. Lo faceva sempre, quando Kieran lo chiamava in quel modo. Sembrava un gesto tenero, sebbene Mark sospettasse che potesse trattarsi semplicemente di un’espressione delle fate: Kieran identificava Mark come il suo amico, piuttosto che come una qualsiasi delle persone col suo stesso nome. Del resto, le fate erano stranissime, per quel che riguardava i nomi, visto che ne avevano uno con cui venivano chiamate da tutti e un altro vero, che permetteva agli altri di esercitare del potere su di loro. Conoscere il nome reale di una fata era una faccenda intima e importante.
Mark si portò un braccio dietro la testa. La pioggia era aumentata: riusciva a sentire le gocce cadere sulla stoffa dei mantelli. “Sono i ricordi a turbarmi,” spiegò, “e la possibilità che la mia famiglia mi dimentichi.”
Kieran fece correre un polpastrello lungo il petto di Mark e lo fermò sul suo cuore. Lui quasi smise di respirare. Non significava nulla, ricordò a se stesso. Le fate non conoscevano il concetto di spazio personale.
“Nessuno potrebbe mai dimenticarti,” mormorò Kieran. “Non dimentichi le persone che ti amano. Ricordo ancora il viso di mia madre. E non esiste cuore più amorevole del tuo.”
“Eppure a volte penso che sarebbe meglio se dimenticassi,” rispose Mark a bassa voce. Pensieri simili non potevano essere formulati senza senso di colpa. “Per loro, per me. Non tornerò mai.”
“Nessuno conosce il futuro,” ribatté Kieran, sedendosi con sorprendente ferocia. “Il tuo esilio potrebbe finire. La clemenza giunge in numerose forme – un re più generoso e gentile ti avrebbe portato nella sua Corte da tempo. Se solo avessi il potere che spetta a un principe…”
Mark si sedette a sua volta, ma Kieran aveva già smesso di parlare. Aveva la mano stretta a pugno, in grembo, e il capo chinato. Era insolito che parlasse del suo essere un principe nel mondo delle Corti, dal momento che i suoi poteri, in seguito all’esilio, non l’avevano seguito nella Caccia.
“Kieran…” cominciò a dire Mark, ma Kieran era chiaramente stressato, e questo era abbastanza strano da spingere Mark a restare in silenzio. L’aveva visto solo di rado mostrare rabbia o tristezza, soprattutto dopo i suoi primi giorni nella Caccia; restava sempre controllato, e non mostrava niente agli altri Cacciatori.
“Dovremmo dormire,” sentenziò Kieran dopo una lunga pausa. “Dovremo alzarci all’alba, domattina, se desideriamo raggiungere gli altri.”
Mark si distese, e Kieran si sistemò al suo fianco, dandogli la schiena. Mark si raggomitolò il più vicino possibile a Kieran – aveva dormito in questo modo per un numero infinito di notti, condividendo il calore dei loro corpi. Ma la sofferenza di Kieran innervosiva Mark, e non desiderava aggiungerne altra dandogli delle attenzioni che non desiderava. Cercò di avvicinarsi a Kieran quanto più possibile senza toccarlo; si sistemò un braccio sotto la testa, mentre l’altra mano era allungata a un millimetro di distanza dai capelli di Kieran. Mark non voleva ammettere a se stesso che sperava che forse, durante la notte, quando il vento avesse soffiato all’interno del cairn, qualche ciocca gli avrebbe sfiorato le dita in una specie di carezza.
Però era così.
Le mani di Mark erano legate, e lui stava urlando. Davanti a lui c’erano gli Ottenebrati, con a capo Sebastian Morgenstern: un oceano scarlatto, che copriva il mondo di sangue. La sua famiglia era allineata davanti a Sebastian, in ginocchio – Helen e Julian, Ty e Livvy, Dru e Tavvy. Sebastian mosse la Spada Mortale, squarciando il torace di Julian. Mentre suo fratello scivolava per terra, Mark vide la sua espressione agonizzante, la supplica nei suoi occhi – Aiutami, Mark, aiutami…
“Mark. Mark!” Mark era seduto al buio, e sulle sue spalle c’erano delle mani. “Mark, era un sogno, un’illusione della tua mente, nient’altro.”
Mark prese un’ansimante boccata d’aria che sapeva di pioggia e sporco. Non c’erano né sangue, né Ottenebrati, né Sebastian. Era nel cairn con Kieran, e c’era pioggia tutto intorno a loro. “La mia… famiglia…”
Kieran sistemò i capelli di Mark con una dolcezza che avrebbe sorpreso la Caccia. Mark si protese verso quella carezza senza rifletterci: era consapevole solo delle mani di Kieran, gentili contro la sua pelle. Come tutte le fate, Kieran non aveva calli; il tocco dei suoi polpastrelli somigliava alle ali delle falene. Mark si lasciò andare contro le sue dita, anche mentre Kieran le muoveva gentilmente per accarezzargli le spalle, spostandole armoniosamente lungo gli strappi della maglia.
“Le tue cicatrici sono guarite,” commentò Kieran; qualche mese prima, Mark era stato frustato da dei membri della Caccia arrabbiati per il governo degli Shadowhunters.
Mark si ritrasse leggermente. “Ma sono ancora orribili…”
“Non c’è niente di orribile in te,” rispose Kieran e, dal momento che non poteva mentire, Mark seppe che lo diceva sul serio. Il suo cuore sembrò contrarsi, facendogli correre un afflusso di sangue e calore lungo il corpo.
Durante tutto il tempo che aveva passato nella Caccia, c’era stato solo Kieran a scacciare la sua disperazione, a trasformare il suo dolore, a curargli il cuore. Si sporse verso Kieran, senza sapere di preciso cos’avesse intenzione di fare – non fu il movimento rapido ed elegante che avrebbe desiderato; le loro labbra si scontrarono calorosamente, e portò le mani tra i capelli di Kieran, che erano morbidi proprio come aveva sempre immaginato.
Le dita di Kieran si strinsero intorno alle spalle di Mark – per sorpresa o irritazione, Mark non ne era sicuro; era troppo disgustato da se stesso. Si allontanò rapidamente da Kieran.
“Mi dispiace,” disse. “Mi dispiace tantissimo.”
Kieran alzò una mano per toccarsi le labbra, sfiorandole con i polpastrelli. “Ma, Mark…”
Non finì la frase. Mark, bruciante di umiliazione, l’aveva già scavalcato. Calciando via le rocce davanti alla bocca del cairn, si tuffò nella tempesta.
La pioggia somigliava a degli aghi; era violenta, soffiata di lato dal forte vento. Mark rimase momentaneamente spiazzato, scivolando sull’erba bagnata fuori al cairn.
Si sentì immediatamente un idiota. Il cielo era una nebbia grigiastra, e poteva vedere pochissimo di ciò che lo circondava: sporco, erba verde, l’ombra di Windspear in lontananza. Il vento lo stava congelando. E come avrebbe mai potuto affrontare di nuovo Kieran? Era uno Shadowhunter, sapeva perfettamente che correre via non serviva a risolvere nulla.
Inoltre, dove avrebbe dormito?
Stava per tornare al cairn, umiliazione o meno, quando sentì un nitrito in lontananza. Gli si congelò il sangue nelle vene. La sua cavalla. Era ripido, lì sopra, instabile per via dell’argillite e delle pietre, e adesso era pure scivoloso per colpa della pioggia. La sua cavalla poteva essere scivolata, e forse era precipitata in un dirupo con una gamba rotta.
Dimenticando per un attimo il suo dolore personale, Mark corse sotto la pioggia fino al ciglio della vetta e guardò in basso. Pioggia e ombre. Un tuono scoppiò nell’aria, e a Mark sembrò di aver sentito un altro nitrito; lasciandosi cadere sulle gambe e sulle ginocchia, percorse un sentiero strettissimo che, immaginò, dovesse essere generalmente utilizzato solo dalle capre.
Ancora nulla. Si fermò per recuperare il fiato. Forse se fosse caduto giù dalla montagna avrebbe potuto risparmiarsi l’imbarazzo di dover spiegare a Kieran perché l’aveva baciato.
Si alzò, premendosi contro la parete rocciosa. Era in piedi su uno spiazzo largo, con la nebbia e il verde della penisola di Lleyn che si aprivano sotto di lui. In lontananza riusciva a vedere le acque dell’Afon Menai, grigio e turbolento. La vista dell’acqua marina gli faceva sempre provare dolore; gli ricordava il panorama dall’Istituto di Los Angeles.
Il dolore che provava per la mancanza della sua famiglia tornò a morderlo selvaggiamente, insieme a una sofferenza tutta nuova: e se avesse allontanato Kieran? Aveva deciso già molto tempo prima che valeva la pena di avere Kieran come amico, anche se non avesse mai potuto provare dei sentimenti più profondi per lui. Oltre a Gwyn, Kieran era stato l’unico a mostrargli della gentilezza, nella Caccia, e Gwyn poteva essere gentile solo fino a un certo punto senza che gli altri Cacciatori lo accusassero di provare un’ingiusta parzialità. Ma Kieran – Kieran aveva tenuto Mark stretto dopo che l’avevano frustrato o quando era ferito. Gli aveva dato dell’acqua e aveva avvolto delle coperte intorno alle sue spalle. Aveva conservato delle porzioni di cibo per lui. E, più di qualsiasi altro di quei gesti, Kieran aveva parlato con lui e l’aveva ascoltato; le persone non si rendono conto di tutto ciò che hanno perso quando non c’è nessuno a parlare con loro come se avessero qualcosa di valido da dire, finché poi non è passato abbastanza tempo e quella disperazione è diventata così intensa da farle cominciare a parlare coi sassi e gli alberi. Kieran aveva restituito a Mark la sua umanità attraverso la grazia di un affetto ordinario, e adesso Mark non sapeva come avrebbe potuto vivere senza.
Sarebbe andato subito, decise, a scusarsi con Kieran. Era la cosa giusta da fare, l’unica che potesse fare, il solo modo per salvare almeno in parte le cose.
Si arrampicò lungo il sentiero e scivolò sulla terra bagnata; rotolò e slittò per qualche metro, andando a sbattere contro una roccia dura. Rialzatosi, si tolse il fango dai vestiti e realizzò due cose: la prima era che poteva vedere la sua stupida cavalla che brucava erba lì vicino, apparentemente senza curarsi del clima. La seconda, che Kieran era a un paio di metri di distanza da lui: era riuscito a tornare al cairn, anche se non sapeva come.
“Mark!” lo chiamò Kieran. La sua voce suonava roca, probabilmente a causa del vento. Sembrava nel panico; i suoi capelli scuri, accorciati di recente, erano diventati del nero assoluto di quando era sconvolto. “Mark, dov’eri?”
“Sono andato a cercare la mia cavalla,” rispose Mark. “Voglio dire, ah, non all’inizio. Me ne sono andato perché…” Sospirò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. “Mi dispiace, Kieran. Non avevo intenzione di fare ciò che ho fatto.”
Gli occhi di Kieran si erano sbarrati. “Non avevi intenzione di fare cosa?”
Mark si strofinò via la pioggia dagli occhi. “Preferirei non dirlo.”
“Umani,” commentò Kieran con una veemenza sorprendente, “pensano tutti che, non dicendo qualcosa, cancelleranno il passato. Dimmelo, Mark. Dimmi cos’è che rimpiangi.”
“Di averti baciato,” rispose Mark. “Se è qualcosa che non desideravi, allora lo rimpiango.”
Kieran stava immobile come una statua e lo fissava. Era già zuppo, coi vestiti incollati al corpo. “E se invece fosse qualcosa che volevo?”
Mark sollevò la testa. Ogni parola somigliava a una fiamma, che gli accendeva delle scintille incredule lungo le terminazioni dei nervi. “Allora non lo rimpiango,” rispose con voce salda. “Allora è la cosa migliore che mi sia successa da quando mi sono unito alla Caccia, nonché i primi diavolo di secondi in non so quanti anni in cui sono stato felice.”
Le parole parvero elettrificare Kieran. Quasi inciampò mentre attraversava il terreno duro per raggiungere Mark. Quando gli fu vicino, lo strinse tra le braccia, facendogli scorrere le dita tra i capelli zuppi. “Per tutti gli Dèi, Mark,” disse; la sua voce tremava. “Come potevi non saperlo?”
Mark non rispose; era troppo sorpreso. Kieran stava passando le dita lungo i suoi capelli, sul suo viso, come se Mark fosse un tesoro che aveva perso e poi, quando ormai tutta la speranza era andata via, ritrovato, e ora lo stesse esaminando per sincerarsi che fosse ancora intero. “Stai bene,” mormorò alla fine, sorpreso. “Non sei ferito.”
“Affatto,” confermò Mark, il più rassicurante possibile.
L’occhio nero e quello argentato di Kieran scintillarono. “Quando sei corso nella tempesta, riuscivo solo a pensare a quanto fosse pericoloso Mynydd Mawr, a quanti sono caduti e morti qui, e a come, se ti fosse successo qualcosa, Mark, sarei morto io stesso. Per me sei insopportabilmente prezioso.”
“Come amico?” chiese Mark, del tutto disorientato – Kieran lo stava tenendo stretto, e lo toccava, in parte con frenesia, in parte con adorazione. Non sarebbe dovuto essere possibile. Non era possibile che Kieran provasse qualcosa del genere per lui.
“Mark.” La voce di Kieran si accese. “Ti supplico, smettila di essere così ottuso, o potrei saltare io stesso giù dalla montagna.”
“Ma…” protestò Mark e, con un gemito, Kieran lo baciò.
Questa volta Mark si lasciò andare, come se stesse seriamente cadendo dalla montagna, nel mare. La bocca di Kieran era salda e dolce e sapeva di fumo e pioggia. Gli sfuggì un debole ansito mentre Mark dischiudeva le labbra, e il calore delle loro bocce fuse parve raddoppiare.
Mark non aveva mai baciato nessuno, prima, non seriamente – c’erano stati dei tocchi leggeri alle feste, durante i balli, ma da qualche parte nella sua mente aveva, pensò, cercato di preservare quel primo bacio. E ora era lieto di averlo fatto, perché gli girava la testa per il piacere struggente, per quella sorta di dolore provocato da una fame disperata che stava finalmente venendo soddisfatta.
Fu Kieran il primo a scostarsi, anche se solo dei centimetri necessari per prendere il viso di Mark tra le mani e dirgli, incantato: “Mio Mark. Il cuore della mia stima. Come potevi non saperlo?”
“Sei un principe,” rispose Mark. “Io sono… niente. Né nobile, né parte di una Corte, né altro. Persino adesso non riesco a credere che possa davvero importarti di me – anche se,” aggiunse, svelto, “se tutto ciò che hai da offrire è il solo desiderio, lo accetterò.”
“Ti desidero,” rispose Kieran, e l’oscurità nel suo sguardo fece rabbrividire Mark. “Ma non è questo ciò che provo. Se così fosse, avrei fatto qualcosa già da tempo.”
“Perché non l’hai fatto?” chiese Mark. “Mi avresti avuto, se l’avessi chiesto – in qualsiasi istante o momento. Sono io quello che si sta spingendo troppo oltre, non tu.”
Kieran scosse il capo. “Mark, sei un prigioniero nella Terra delle Fate,” disse, e la sua voce era disperata. “Ti teniamo incatenato alla Caccia! Avresti ogni diritto di odiare me e quelli che mi somigliano. Non avrei mai potuto immaginare che provassi per me anche solo l’ombra di ciò che io sento per te.”
“Non sei tu ad avermi incatenato,” ribatté Mark. “È stato il Conclave, la mia stessa gente, a lasciarmi qui. So chi mi ha tradito, Kieran; so chi sono quelli di cui non mi fido, e non hanno mai avuto il tuo volto.”
“Molti non sarebbero in grado di pensarla così,” osservò Kieran.
Mark accarezzò la guancia di Kieran col dorso della mano. Il principe rabbrividì. “Molti vedrebbero in me solo uno Shadowhunter, un sicario della Pace Fredda.”
“Io ti guardo e vedo il costante compagno dei miei giorni e delle mie notti.” Kieran parlò sussurrando; i suoi capelli zuppi blu-nerastri erano incollati alle sue guance e al suo collo. “Ti amerei anche se tu non amassi me: ti ho amato sin da quando ti ho incontrato. Ti ho amato per tutto questo tempo, credendo che non mi avresti mai ricambiato. Ti ho amato senza speranza o aspettative.”
Mark abbassò la mano per afferrare la maglia di Kieran. “Amami, allora,” gli disse con voce roca. “Mostramelo.”
Un fuoco oscuro si accese nello sguardo di Kieran; strinse a coppa le mani intorno al retro della testa di Mark e lo tenne fermo mentre si chinava per esplorare con attenzione la sua bocca, facendolo gemere: gli succhiò il labbro inferiore, stuzzicò gli angoli della sua bocca, gliela accarezzò con lunghi colpi della lingua che lasciarono Mark a premersi disperatamente contro al suo corpo, desiderando di più. Non sentiva niente che non fosse Kieran, il calore del suo corpo e la sensualità tormentosa della sua bocca.
A dividerli fu Kieran, alla fine, Kieran che prese Mark per il polso e lo trascinò vero il cairn. Strisciarono nel rifugio, dove il fuoco si era ridotto a braci scintillanti. Si inginocchiarono nella polvere e baciarono freneticamente, strappandosi di dosso gli abiti. La stoffa bagnata si lacerò e venne gettata via, e quando furono entrambi nudi caddero sulla matassa di mantelli e stoffa e si baciarono finché Mark non si sentì ubriaco: erano baci lunghi e lenti e oscuri come le acque cupe di vapore fatato che facevano perdere i ricordi agli umani. Non parlarono, se non per dirsi: “L’hai fatto?” domandò Kieran, in parte nell’ombra.
“No,” rispose Mark. “Con nessuno.”
Kieran si fermò, la mano sul petto nudo di Mark. Era bellissimo alla luce del falò, con la pelle candida e i capelli scuri come uno schizzo a penna e inchiostro di Michelangelo. “Nella Caccia, i nostri corpi ci portano solo dolore,” disse a Mark. “L’agonia della fame e la sofferenza della stanchezza e le frustate. Lascia che ti mostri, adesso, che miracolo può essere un corpo.”
Mark annuì, e Kieran iniziò a lavorare con le mani e la bocca. Non c’era fretta nella sua intensità; Mark non si era mai reso conto che qualcosa potesse essere così rude e gentile allo stesso tempo. Kieran lo toccava con una tale delicatezza da far immaginare a Mark che, ovunque andassero le sue dita, una stilo passasse disegnando rune della guarigione, rendendo le sue cicatrici lisce, cancellando il ricordo del dolore.
Tirò fuori il piacere dalle profondità del corpo di Mark, accarezzandolo lentamente, come uno striscione che viene spiegato. Il respiro di Mark accelerò, e poi divenne ancora più veloce. Si allungò per toccare Kieran, col desiderio di restituirgli qualcosa di ciò che stava ricevendo, e venne quasi distrutto dal gemito di piacere di Kieran. Dalla sensazione del suo corpo tra le dita: della sua pelle liscia e fine come la seta, dalla spigolosità delle sue ossa, dalla sua intensa sensibilità, dal modo in cui rispondeva anche ai tocchi più leggeri di Mark. Stava già tremando quando Mark scivolò lungo il suo corpo, leccando e succhiando la sua pelle: alla fine gemette e trascinò Mark sotto di sé, tenendosi in equilibrio su di lui con i gomiti.
Aveva gli occhi lucidi, sfocati: Mark provò una sensazione di intenso orgoglio sapendo di essere riuscito a far diventare così un principe delle Fate. Durò solo per un momento, però: Kieran ghignò con un pizzico di malvagità e mosse i fianchi in un modo che fece correre il fuoco attraverso le vene di Mark, e tutto il resto sembrò svanire. Mark si strinse a Kieran: erano premuti uno contro l’altro, petto a petto e gambe contro gambe, e quando il principe fece scivolare una mano tra loro e iniziò ad accarezzarli insieme, Mark provò il piacere fisico più puro che avesse mai sentito da quando era entrato nella Caccia. Tutto il resto sparì dalla sua testa, tutte le complicazioni e le perdite andarono via, sostituite dalla meravigliosa scoperta che il suo corpo fosse più di uno strumento che portava dolore o sopportava le privazioni. Era capace anche di miracoli.
Le mani e le dita di Kieran erano come fuoco, fuoco che portava una gioia indicibile. Mark chiuse gli occhi; il suo corpo si inarcava impotente contro quello del principe. Anche Kieran stava ansimando, il corpo che tremava, e ogni tremito creava più frizione e piacere, finché poi Mark non pensò di essere sul punto di morire. Si sporse verso l’alto per prendere il viso di Kieran tra le mani e baciarlo, in profondità e con forza, e il bacio sembrò distruggere i rimasugli della determinazione di Kieran: venne insieme a Mark, tremando e gemendo entrambi, l’uno tra le braccia dell’altro.
In seguito, Mark non sarebbe riuscito a ricordare ciò che aveva ansimato o sussurrato durante quel frangente, ma non avrebbe potuto dimenticare le parole di Kieran, che gli sfuggivano dalle labbra proprio mentre si lasciava andare nell’abbraccio di Mark, poiché le avrebbe sentite di nuovo.
“Sarai sempre importante per me, Mark Blackthorn,” disse Kieran. “Perché sei tutto ciò che amo su questa terra e sotto questo cielo.”
Dopo rimasero stretti l’uno tra le braccia dell’altro; Mark aveva la testa sulla spalla di Kieran, e gli disse che aveva ragione, che le stelle non erano visibili, neanche tra gli spazi nei mantelli su di loro.
“Conta i carboni nel fuoco,” gli rispose Kieran, le dita tra i capelli di Mark. “Da’ loro i nomi che ami.”
E Mark lo fece, anche se, alla fine, la sua voce biascicava per il sonno; si appisolò, e per la prima volta in anni di vagabondaggi lo fece senza un ultimo pensiero di tristezza o dolore, ma solo di amore, e di come questo brillasse più delle stelle.
« In Signora della Mezzanotte, si lascia intendere che sia stato Kieran a baciare Mark per primo, mentre qui Mark pensa di essere stato lui il primo a baciare Kieran. Non è una contraddizione, quanto più un appunto sull’incostanza della memoria. »
bellissimo! Altra coppia scritta splendidamente dalla Clare
chebellochebellochebellochebello!!!!!!!!!!!!!!!!! <3<3<3 KIERARK!!! scusate, *cerca di ricomporsi, ma non ci riesce* questo extra è meraviglioso!! grazie per la traduzione :*
OH. MY. GOSH. Kieran e Mark DEVONO essere endgame. <3 <3
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