Buon pomeriggio, carissimi Shadowhunters!
Con un paio d’ore di ritardo rispetto a ciò che avevamo preventivato, ecco arrivare il nuovissimo racconto di TLH che ieri Cassie ha inviato agli iscritti della sua newsletter (i primi li trovate tradotti qui e qui).
Questa volta abbiamo la possibilità di conoscere un po’ meglio l’adorabile Christopher Lightwood, secondogenito di Cecily e Gabriel. <3
Buona lettura!
LONDRA, 1901
Uno dei primi ricordi di Christopher Lightwood era quello in cui sua madre, Cecily Lightwood, veniva trasportata d’urgenza in infermeria dopo una lotta contro un branco di demoni Raum. Christopher e sua sorella maggiore Anna si trovavano all’Istituto di Londra, in quel momento, affidati alle cure della zia Tessa e dello zio Will mentre i loro genitori erano di pattuglia. Tessa aveva velocemente portato via Christopher, ma non prima che lui riuscisse a scorgere l’espressione preoccupata che aveva avuto sul volto Will mentre andava a chiamare i Fratelli Silenti.
In seguito, Christopher era rimasto seduto accanto al letto di sua madre mentre lei si riprendeva dal veleno del Raum. Perdeva e riacquistava conoscenza di continuo: si svegliava, sorrideva trovandoselo davanti e poi tornava a dormire. Zio Will agitava tantissimo le braccia, disperandosi perché aveva una sorella davvero troppo coraggiosa per il suo stesso bene. Il padre di Christopher, Gabriel Lightwood, gli aveva allora ricordato era proprio quel coraggio nelle situazioni disperate a renderli Shadowhunters. Quell’affermazione aveva fatto borbottare Will. Ma Christopher si era reso conto che suo padre aveva avuto paura per davvero, e che era profondamente sollevato all’idea che Cecily si stesse rimettendo. Gli si era appoggiato contro.
“Cacciare i demoni fa paura?” gli aveva chiesto.
Gabriel aveva sospirato e aveva portato Christopher più vicino a sé. “Può fare paura, ma un mondo governato dai demoni è molto più spaventoso.”
Le sue parole erano sensate, ma Christopher aveva continuato a fare domande. “Combatterli con spade e pugnali è spaventoso. Ma se ci fossero altri modi per affrontarli?”
Suo padre era parso confuso. “Con delle armi a distanza? Gli archi e le frecce?”
Christopher non era in grado di spiegare le idee che gli stavano frullando in testa. Non conosceva ancora il linguaggio adatto. Si era limitato a sorridere. “Non esattamente,” aveva spiegato. “Ma non preoccuparti. Lo capirò.”
Quando Christopher aveva otto anni, suo padre e suo zio Gideon si erano rinchiusi nello studio e avevano parlato con voce alta e importante della zia di Christopher, Tatiana, e del suo figliolo, Jesse. Christopher aveva realizzato che Jesse era un cugino che non aveva mai incontrato, e che era malato.
Poco tempo dopo, erano stati informati della morte di Jesse. Il padre di Christopher aveva cercato di andare a visitare zia Tatiana, ma lei si era rifiutata di incontrarlo. Quando Gabriel era tornato a casa, Cecily l’aveva abbracciato, e lui aveva pianto. Christopher era rimasto sconvolto: non tanto dalle lacrime di suo padre, ma dal fatto che avessero avuto un cugino che a nessuno di loro era mai stato concesso di incontrare, e che adesso non avrebbero incontrato mai più. Nella sua testa continuavano a frullare idee. È tutto sbagliato. Se l’avessimo incontrato, forse saremmo stati in grado di aiutarlo. Di salvarlo. Ma quando l’aveva detto ad alta voce a sua madre, Cecily si era limitata a sorridere con tristezza. “Sei un ragazzo coraggioso e ardito,” gli aveva detto. “Il mondo ha bisogno di più menti simili alla tua, Christopher. Ma non puoi prenderti la responsabilità di salvare ogni vita. È un peso troppo grande perché lo trasporti un’unica persona. I Fratelli Silenti erano insieme a Jesse prima che morisse, e sono i più saggi tra di noi. Di certo l’avrebbero salvato, se fosse stato possibile.”
Christopher aveva pensato: Ma i Fratelli Silenti possiedono solo certi tipi di conoscenza. E se ce ne fosse stata una completamente diversa che avrebbe potuto salvare Jesse? Però era rimasto in silenzio.
Poi, quando Christopher aveva dieci anni, Anna era stata morsa da un demone e la ferita si era infettata. L’intera famiglia si era freneticamente agitata intorno a lei per un giorno e una notte. Quella febbre era il problema che perdurava, il problema che si stagliava con fare minaccioso nella testa di Christopher in cerca di una soluzione. Troppo spesso, in vita sua, Christopher si era ritrovato a pensare le stesse parole che gli erano venute in mente il giorno della morte di Jesse. È tutto sbagliato. Bisogna fare qualcosa.
Christopher aveva moltissimi cugini. Matthew non era tra questi, ma i loro genitori erano amici, uniti come una famiglia: era sempre stato ben chiaro.
Christopher aveva chiamato il padre di Matthew “zio Henry” sin da quando aveva imparato a parlare, ed era sempre rimasto impressionato dall’affascinante sedia con cui andava in giro.
Poi, un giorno, Christopher era entrato nel laboratorio di Henry, che aveva trovato persino più affascinante della sedia. Henry aveva lasciato in giro le sue annotazioni di un esperimento, e Christopher aveva immediatamente provato a portarlo a termine.
Non si dimentica mai la propria prima esplosione.
“Oh, ben fatto, abbastanza ben congeniato,” gli aveva detto zio Henry, ma poi zia Charlotte aveva chiesto di scambiare “una parola” con lui. In verità erano state parecchie parole. Christopher non avrebbe mai compreso perché le persone fossero così poco precise.
Dopo molte parole, zio Henry aveva proclamato che Christopher era ancora troppo giovane per causare esplosioni, che il laboratorio era un luogo pericoloso e che Christopher non avrebbe dovuto toccare nulla senza avere il permesso. Lo stesso valeva per Matthew, a cui però non importava comunque. A Matthew interessava parlare di cose sconcertanti: il fatto che zio Henry dovesse “mangiare di più”, per esempio, e di come avrebbe dovuto cessare un esperimento brillante per ragioni sciocche come “tutto sta andando a fuoco”.
Christopher era spinto da un’onesta curiosità scientifica. Dopo aver analizzato il problema, si era dato da solo il permesso di toccare qualunque cosa volesse nel laboratorio. A volte zio Henry chiudeva gli oggetti per impedirgli di prenderli, e in quei casi Christopher era costretto a scassinare gli armadietti.
Era tutto piuttosto seccante, ma il progresso scientifico era come una valanga che non andava fermata. Christopher aveva letto gli articoli scientifici che Marie Curie aveva scritto sul radio, l’elemento in grado di distruggere i tumori. Aveva letto il saggio di John Snow, che parlava di come il colera fosse in grado di diffondersi attraverso le pompe d’acqua pubbliche. Aveva cercato di scrivere un articolo tutto suo riguardo, però, l’invenzione del Portale di Henry Fairchild. Erano queste le persone che stavano osservando con inventiva il mondo, alla ricerca della radice dei problemi che affliggevano l’umanità.
“Chi pensi che sia lo Shadowhunter che ha salvato più vite?” gli aveva chiesto l’Inquisitore durante la sua visita alla casa londinese della Console, nel momento in cui Christopher era emerso dal laboratorio per fare uno spuntino. “Suppongo che tu ritenga che si tratti di tuo padre.”
“No,” aveva risposto Christopher dopo un attimo di riflessione. “Direi mio zio Henry.”
L’Inquisitore era parso esterrefatto.
“Ho condotto un’analisi,” aveva proseguito Christopher in tono pacifico. “Se zio Henry non avesse inventato il Portale, è altamente possibile che i nostri numeri si sarebbero ridotti di un terzo. Ritengo che lei stesso sarebbe morto nove anni fa, durante l’attacco di Dantalion all’Istituto di York. Poiché i Portali continueranno a esistere ancora a lungo dopo la morte di zio Henry, mi aspetto che finirà col salvare molte più vite di qualunque altro Shadowhunter, incluso Jonathan Shadowhunter. Ammesso che io non riesca a inventare qualcosa di altrettanto utile. Cosa che, naturalmente, aspiro a fare.”
Christopher era tornato in laboratorio pensando ai demoni. A come camminassero tra i mondi, a come pugnalarli fosse solo, nel migliore dei casi, una soluzione temporanea, dal momento che potevano sempre riformarsi nei loro luoghi d’origine e poi tornare a portare maggiore scompiglio. A come nessuno sembrasse star cercando la radice di quei problemi lì. Beh, quasi nessuno.
“Ti dà mai fastidio?” aveva chiesto con esitazione a Henry, qualche ora più tardi. “Il modo in cui è fatto la nostra gente? Ciò che considerano importante, e ciò che per loro… non lo è?”
Henry aveva riso. “Che importa se mi dà fastidio? Non cambia il fatto che c’è del lavoro da svolgere.”
Era una risposta ragionevole e pratica, ma per una volta Christopher aveva sentito di volere di più. Henry lo capiva, come sembrava fare sempre.
“So cosa considero importante io,” aveva affermato con fare sicuro Henry. “Non ritengo che siamo così lontani dal modo di fare dei Nephilim quanto pensi tu. Siamo tutti guerrieri, incaricati dall’Angelo di tenere il mondo al sicuro in modi diversi. Non vinceremo se lottiamo da soli. Cos’è che vuoi più di ogni altra cosa?”
“Ci sono così tante cose sbagliate al mondo,” aveva risposto Christopher. “Voglio che abbiano senso. Voglio aggiustarle. Voglio trovare le soluzioni che sfuggono agli altri.” Aveva spostato lo sguardo verso le composizioni di diatomee, verso l’ottone brillante dei loro microscopi, le armi che stavano tentando di usare e gli strumenti che provavano a inventare. Matthew parlava sempre molto della verità e della bellezza. Era lì che Christopher le trovava sempre.
“Questo è ciò più di ogni altra cosa che ho sempre pensato di dover fare,” aveva spiegato Henry. “Ho sempre pensato che fosse giusto usare il mio ingegno, la mia miglior arma, per la causa in cui credo. È una gioia vederti impugnare l’arma che ho impugnato anche io.”
“Allora dovrei unirmi a te durante i tuoi esperimenti,” aveva affermato con fare trionfante Christopher.
“Sì,” gli aveva risposto Henry. Poi aveva esitato, e per un istante Christopher si era aspettato di ricevere una predica su come fosse importante fare attenzione ed evitare le esplosioni. Ma Henry non l’aveva fatta. Si era limitato a dire, invece: “Sì, infatti.”
Da quel momento in poi, Christopher aveva considerato la scienza non solo una cosa che amava, ma pure il suo dovere di Shadowhunter. Magari nessun altro l’avrebbe mai pensato, ma sapeva di essere dedito quanto una Sorella di Ferro, un Fratello Silente, un guerriero che avanza per affrontare uno schieramento di demoni.
Quando era stanco, o quando le persone erano poco ragionevoli, o quando il suo fratellino piagnucolava fuori alla sua porta, Christopher ripensava al sorriso sul volto dello Shadowhunter che rispettava più di chiunque altro, e a Henry mentre diceva: “Andiamo, Christopher. Prendi l’arma migliore che hai e combatti la battaglia migliore che puoi”.
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