Ecco il racconto EXTRA pubblicato da Cassie sul primo incontro fra Jem e Tessa dal punto di vista di Jem.
Vi ricordo che tutti i racconti non contenuti nei libri sono raccolti nella pagina EXTRA e che verranno tradotti a poco a poco dal nostro staff!
Per questa traduzione in particolare ringrazio Alessia (Selene) che è da qualche mese entrata a far parte del fandom della saga. ^_^
Il violino del padre di Jem era stato creato per lui dal liutaio Guarnerni, che aveva creato violini per musicisti famosi come Paganini. Infatti, Jem a volte pensava che suo padre sarebbe stato una sorta di Paganini lui stesso, famoso in tutto il mondo per il suo talento, se non fosse stato uno Shadowhunter. Gli Shadowhunters potevano dilettarsi con musica, pittura o poesia, specialmente dopo essersi ritirati dall’azione, ma rimanevano sempre innanzitutto Shadowhunters, prima di ogni altra cosa.
Jem sapeva che il suo talento con il violino non era grande quanto quello di suo padre – che gli aveva insegnato a suonare quando era ancora così giovane da avere problemi a tenere in equilibrio lo strumento – ma suonava per ragioni che andavano molto oltre l’arte di per sé.
Questa sera si era sentito troppo indisposto per unirsi agli altri per cena – dolore alle ossa e una stanchezza che gli si diramava per il corpo – fino a quando aveva ceduto e preso quel po’ di yin fen da attenuargli il dolore ed infondergli un po’ di energia. Era poi sopraggiunto il fastidio per la sua dipendenza e quando era andato a cercare Will, sempre la sua prima linea di difesa, il suo parabatai – ovviamente – non c’era. Ancora fuori, Jem pensò, a vagare per le strade come Diogene, solo con propositi meno nobili.
Così Jem si ritirò nella sua stanza e dal suo violino. Stava suonando Chopin ora, un pezzo originariamente per pianoforte che suo padre aveva adattato per il violino. La musica iniziava con delicatezza e aumentava via via in un crescendo, uno di quelli che gli avrebbe sottratto ogni briciolo di energia, sudore e concentrazione, lasciandolo troppo esausto per sentire il desidero per la droga che gli scorreva nei nervi come fuoco.
Era infatti uno dei pezzi con i quali suo padre aveva corteggiato sua madre prima che si sposassero. Il padre di Jem era il romantico, la madre quella più pratica, ma la musica era riuscita a colpirla nonostante tutto. Aveva insistito perché Jem perché lo imparasse – “Io lo suonai per mia moglie, e un giorno, tu lo suonerai per la tua.”
Ma non avrò mai una moglie. Non lo pensava con auto commiserazione. Jem era come sua madre: pratico sulla maggior parte delle cose, anche sulla propria morte. Era in grado di mantenere il fatto a distanza e di esaminarlo. Jem pensava che ognuno dei ragazzi dell’Istituto fosse peculiare: Jessamine con la sua asprezza e la sua casa delle bambole, Will con le sue bugie ed i suoi segreti, e Jem – il fatto che stesse morendo era solo un’altra sorta di peculiarità.
Si fermò per un momento, ansimando in cerca di aria. Stava suonando accanto alla finestra, dov’era più fresco: l’aveva aperta lasciandola socchiusa e l’aspra aria di Londra sfiorava le sue guance ed i suoi capelli come delle dita, come l’arco immobile nella sua mano. Stava in piedi in un raggio di luna, argenteo come la polvere di yin fen.
Chiuse gli occhi e si lanciò, di nuovo, nella musica, l’arco che scorreva sulle corde come un grido. A volte il desiderio per la droga era quasi dominante, più forte del desiderio per il cibo, per l’acqua o l’aria, per l’amore…
Lo suonai per mia moglie, e un giorno, tu lo suonerai per la tua. Jem si aggrappava a quel pensiero con risolutezza. A volte si domandava come sarebbe stato guardare le ragazze come faceva Will, analizzandole con i suoi occhi blu scuro, offrendo insulti e complimenti a voce abbastanza alta da far si che venisse schiaffeggiato quasi ad ogni festa di Natale. Cercava compagnia occasionali, qualche volta, quando una ragazza carina flirtava con lui o quando si sentiva particolarmente solo.
Jem non pensava, non riusciva a pensare, alle ragazze in modo così noncurante: supponeva che una relazione sarebbe potuta essere possibile, ma non era ciò che voleva. Lui voleva ciò che suo padre aveva avuto – il tipo di amore del quale scrivevano i poeti. Il modo in cui i suoi genitori si guardavano l’un l’altro, la pace che li avvolgeva quando erano assieme. Un amore facsimile non glielo avrebbe donato, e se avesse perso tempo su una cosa del genere avrebbe potuto perdere l’occasione per trovare quella vera – e non ne avrebbe avute molte.
Una fitta gli passò attraverso all’aumentare del bisogno della droga ed aumentò il ritmo della sua musica. Cercò di non guardare la scatola sul suo comodino. Erano volte come queste nelle quali si chiedeva perché non ne prendesse direttamente intere manciate alla volta. La maggior parte dei dipendenti da yin fen la prendevano senza sosta fino a quando morivano per l’euforico senso dell’essere instancabili e indomabili, di avere la forza ed il potere di una stella. Era quella euforia che alla fine li uccideva, bruciando i loro nervi, schiacciando i loro polmoni ed esaurendo i loro cuori.
Alcune volte Jem si sentiva come se volesse bruciare. Alcune volte non sapeva nemmeno perché combattesse, il perché valutasse una lunga vita di sofferenza migliore di una vita corta e senza dolore. Ma ricordava a se stesso che la mancanza di dolore sarebbe stata solo un’altra illusione: come la casa delle bambole di Jessamine, come le storie sui bordelli e i posti da gin di Will.
E, ad essere veramente onesto, sapeva che avrebbe troncato le sue chance di trovare il tipo di amore che i suoi genitori una volta avevano. Perché era quello l’amore, non è vero? – bruciare negli occhi di qualcun altro?
Continuò a suonare. La musica era salita in un crescendo. Respirava con affanno, il sudore sulla sua fronte e sulle sue clavicole nonostante il fresco dell’aria della sera. Sentì il click della porta della sua stanza mentre si apriva alle sue spalle e sollievo si irradiò in lui, non smise comunque di suonare. “ Will,” disse, dopo un momento. “Will, sei tu?”
Ci fu solo silenzio, non una caratteristica di Will. Forse Will era infastidito da qualcosa. Jem abbassò l’arco e si girò, accigliato. “ Will — ” iniziò.
Ma non era affatto Will. Una ragazza stava esitando in piedi all’entrata della sua stanza. Una ragazza in camicia da notte bianca con sopra una vestaglia. I suoi occhi grigi erano pallidi alla luce della luna, ma calmi, come se nulla nel suo aspetto la allarmasse. Era la ragazza stregone, realizzò d’un tratto; quella di cui gli aveva in precedenza parlato Will, ma Will non aveva menzionato la quiete che c’era in lei e che faceva sentire Jem calmo nonostante il desiderio per la droga, o il piccolo sorriso sulle sue labbra che le illuminava il volto. Doveva essere li da un po’, ad ascoltarlo suonare: dalla sua espressione si poteva intuire che avesse apprezzato, dall’inclinazione sognante della sua testa.
“Non sei Will,” disse, e realizzò immediatamente che quella fosse stata una cosa terribilmente stupida da dire. Quando lei iniziò a sorridere, sentì un sorriso di risposta apparire sulle sue labbra – per così tanto tempo Will era sempre stato la sola persona che voleva vedere quando stava così, e ora, per la prima volta, si ritrovò felice di non vedere il suo parabatai, ma al suo posto un’altra persona.
E grazie per l’opportunità! Come resistere ad un testo di tale dolcezza? :love:
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
Condividi su