Nella sua ultima newsletter, Cassie ha condiviso – per festeggiare l’ormai prossima pubblicazione di Queen of Air and Darkness – un extra diverso dal solito: si tratta di una scena tagliata di Lady Midnight, che ha per protagonisti Emma, i Blackthorn e Cameron (+ Paige Ashdown).
Non vi diciamo altro per non rovinarvi la lettura – secondo noi (canon o meno) è una scena molto interessante da scoprire. 😉
Buona lettura! Ricordatevi di farci sapere cosa ve n’è parso! <3
« Ecco un piccolo, buffo ritorno al passato – questa di seguito è una scena tagliata da Signora della Mezzanotte! Dal momento che si tratta di un passaggio che non è mai stato inserito nella versione finale del romanzo, il suo contenuto non è mai stato controllato, e di conseguenza potrebbero esserci delle incongruenze tra questa scena e il resto di TDA. Divertitevi! »
Emma aveva scoperto le caverne marine a undici anni. Si trovava in spiaggia con i suoi genitori quando le aveva trovate – lunghe dita di roccia grigia che si allungavano nel mare e che all’interno nascondevano, come gallerie nella pietra, le caverne. Erano aperte verso l’oceano da entrambe le parti e avevano un odore delizioso, simile a quello dell’acqua di mare e della roccia bagnata e delle cose oscure e segrete.
Aveva tredici anni quando lei e Julian avevano scelto le caverne marine come loro luogo d’incontro ufficiale. Se fosse successo qualcosa nel o all’Istituto – ed entrambi avevano incubi a riguardo, sin dall’attacco durante la Guerra Oscura –, si sarebbero incontrati lì.
Di anni ne aveva quattordici quando aveva mostrato per la prima volta le caverne marine a Cameron Ashdown.
Gli Ashdown si erano trasferiti a Los Angeles dopo la Guerra Oscura, inserendosi facilmente nella piccola Assemblea di Shadowhunters che abitava nella città. Del resto tutte le Assemblee erano diventate piccole, dopo le morti della guerra. Il Conclave stava facendo il possibile per rintracciare ogni ostinato mondano che avesse anche solo una goccia di sangue Nephilim, pure quelli le cui famiglie avevano lasciato gli Shadowhunters da generazioni. Eppure ci sarebbero volte decadi prima che tornassero la forza di un tempo.
Cameron, i suoi genitori e sua sorella minore, Paige, si erano trasferiti in una casa a Santa Monica e avevano organizzato il prima possibile una visita all’Istituto, per decidere se Paige e Cameron avrebbero preso lezioni con i Blackthorn o avuto un tutore tutto loro.
Diana aveva dato loro il benvenuto e mostrato loro le stanze d’addestramento, la libreria e l’aula. Emma si trovava nella stanza d’addestramento, ad allenarsi con Livvy con la scherma. Era più alta e forte di Livvy, ma Livvy era rapida come un fulmine, il che le dava un vantaggio con la sciabola. Ty e Julian le stavano guardando: Ty faceva il tifo per Livvy, Julian per Emma, come se quello fosse uno scontro reale.
La porta si aprì, e Cameron e sua sorella entrarono insieme a Diana.
Emma si immobilizzò sul posto, cosa che permise a Livvy di fare punto colpendole la spalla con il piatto della lama. “Emma!” si lamentò. “Non stai prestando attenzione!”
Ma Emma si stava già sfilando la maschera, lasciando scivolare giù i capelli. Cameron Ashdown poteva anche essere cresciuto a Idris, ma il suo aspetto era quello del perfetto ragazzo californiano, con i suoi capelli rosso acceso, la pelle abbronzata, le spalle larghe e gli occhi nocciola. Il suo naso sembrava essere stato rotto in passato, ma regalava al suo viso un’affascinante asimmetria.
La sorella era una sua copia più piccola, con i capelli rossi corti e il mento a punta. Guardò Emma con avversione, forse perché Emma aveva lo sguardo fisso sul fratello.
Di recente Emma aveva riflettuto, in modo piuttosto scientifico, su come lei fosse una quattordicenne e non avesse ancora mai baciato nessuno. E neanche, si disse, dal momento che stava crescendo nella casa di Blackthorn, era probabile che succedesse. Vedevano raramente dei ragazzi della loro età; il Conclave era semplicemente troppo piccolo, e ora che l’Accademia di Idris era stata riaperta, la maggior parte dei giovani Shadowhunters veniva allenata lì.
Pensò a Julian, al modo in cui, quando le sorrideva, sembrava mettere tutto se stesso in quel sorriso. Al modo in cui illuminava tutta la stanza e le faceva accelerare il cuore. Cameron Ashdown la guardò con curiosità, mentre Diana faceva le presentazioni; Livvy si stava strappando via l’elmetto. Abbassando la spada, Emma sorrise a Cameron, e ci mise tutta se stessa.
Quando lui le restituì il sorriso, sembrava stordito.
Più tardi, quando gli Ashdown se ne furono andati, Ty disse: “Non mi sono piaciuti.”
Julian gli scompigliò i capelli. Anziché dire ciò che Emma si era aspettata – qualcosa sul come Ty dovesse dare loro una possibilità –, rispose: “Neanche a me.”
“Perché no?” gli domandò, curiosa.
Lui scosse le spalle. “Semplicemente non mi sono piaciuti.”
“Beh, è un peccato,” commentò Diana. “Voi ragazzi avete bisogno di passare del tempo con qualcuno che non sia un Blackthorn.” Guardò Emma. “O un Carstairs.”
Gli Ashdown tornarono, la settimana successiva, e poi quella dopo ancora. Era estate, e il gruppo passava il tempo in spiaggia, a farsi scottare dal sole, a nuotare in acqua – tutti tranne Emma – e a costruire castelli di sabbia con i più piccoli. Ty ne costruiva di meticolosi, scolpendoli con attenzione, mentre quelli di Livvy erano privi di forma e altissimi, e collassavano sotto il loro stesso peso mentre tentavano di raggiungere il cielo. Seppellirono Tavvy sotto la sabbia, e Drusilla se rimase seduta a gambe incrociate, perdendosi in un romanzo – Paige aveva circa la sua età, ma le due ragazze si ignoravano.
In seguito, Emma si disse che quello, per lei, sarebbe dovuto essere un segnale d’avvertimento. In seguito, si sarebbe data la colpa per tutto.
Aveva quattordici anni quando aveva portato Cameron a vedere le caverne. Non l’aveva smessa di stuzzicarla perché non entrava mai in acqua; lei aveva riso, senza però rivelargli il motivo. Invece l’aveva trascinato lontano dal gruppo e portato nella sua caverna preferita: non la più grande, ma quella più lunga e tortuosa. Era possibile trovare una curva nella galleria in cui l’oceano non era visibile da nessun lato.
Trascinò Cameron dietro di sé e lo guardò in viso, col cuore che le batteva forte. Studiò il nocciola dei suoi occhi lì all’ombra, il misto di blu e marrone e verde. Protese la mano, incapace di essere nient’altro che diretta. “Vuoi baciarmi?” gli chiese.
Lui deglutì con forza e annuì. Stava tremando mentre avvicinava Emma a sé e la baciava gentilmente; lei teneva il viso leggermente all’indietro, e le sue mani gli si erano poggiate sulle spalle. Gli accarezzò le braccia, in modo leggero, timido; la bocca di lui era calda e morbida, e sapeva di gelato alla fragola.
Baciarsi era proprio come aveva sperato lei. Era un buon modo di affogare, di riempirsi le orecchie e gli occhi di oblio, di bloccare il fragore delle onde contro la riva. Il tocco di Cameron diventò più urgente, alzandosi dai suoi fianchi, e lei si lasciò andare con più forza contro di lui, e fu quello l’attimo in cui sentirono qualcuno strillare.
Sembrava un urlo di rabbia, più che di dolore o paura, ma in passato Emma ne aveva sentiti a sufficienza in lontananza: si allontanò da Cameron senza pensarci e cominciò a correre. Lui la seguì. Quando raggiunsero la spiaggia dove avevano lasciato gli altri, rimasero immobili a guardare: Ty era seduto sulla sabbia, e Julian teneva Paige per il colletto della sua maglia, il volto bianco per la rabbia.
In seguito, Emma avrebbe scoperto cos’era successo. Livvy e Dru erano andate a raccogliere delle conchiglie; Julian stava facendo degli schizzi tra le dune, mentre Ty costruiva un castello di sabbia insieme a Paige, che lo aiutava svogliatamente.
Ty aveva raccolto un pezzo di vetro e l’aveva guardato con interesse. A volte le cose lo affascinavano: il modo in cui una goccia d’inchiostro si spandeva sul foglio, o in cui il colore si dipanava nell’acqua. Restava seduto a osservare quelle cose, in contemplazione. Se si distraeva particolarmente, bastava toccarlo gentilmente sulla spalla, o chiamare piano il suo nome, per svegliarlo.
Ma Paige non aveva fatto nessuna delle due cose. Quando gli aveva chiesto cosa stesse facendo e lui non aveva risposto, lei gli aveva gettato una manciata di sabbia in faccia. Ty era tornato in sé tossendo, accecato e senza fiato. Aveva cominciato dondolare, sbattendo le mani; le sue farfalle erano frenetiche.
“Mostro,” aveva sbottato Paige. “Smettila, mostro.”
E a quel punto era arrivato Julian, e l’aveva trascinata di peso in piedi. Mentre Emma correva per raggiungerli, con Cameron al suo fianco, lo sentirono parlarle.
“Se mai,” le intimò, “mai dovessi chiamare di nuovo così mio fratello, ti ucciderò. Non mi importa se sei una ragazza. Ti ucciderò.”
“Smettila! Basta!” Cameron scattò davanti a Emma e strappò sua sorella dalla presa di Julian; lei cominciò immediatamente a piangere. Julian lo guardò stordito. In lontananza, Emma poteva vedere Livvy e Dru correre verso di loro.
“Portala via,” disse Julian. “Entrambi, andatevene e non tornate mai più.”
Cameron si voltò verso Emma, il viso onesto, confuso. “Possiamo parlarne,” propose. “Noi – noi dovremmo parlarne.”
Emma fece correre lo sguardo da lui a Julian, che ora era inginocchiato accanto a Ty e chiamava il suo nome, piano, con la voce piena d’amore e panico. Si voltò verso Cameron, che teneva stretta sua sorella – che aveva il viso rosso fuoco – e la stava guardando come se si aspettasse chiaramente che avrebbe preso le sue parti. Che il bacio che si erano dati nelle caverne fosse il segno che ora la lealtà di lei fosse per qualcun altro. Che lei sarebbe dovuta essere leale a lui, adesso, e non a Julian.
“Vattene,” gli disse. “Come ha detto Julian. E non riportarla mai più qui.”
Qualche settimana dopo, lei e Julian andarono a Idris per la loro cerimonia parabatai. Quando tornarono, Paige era stata mandata all’Accademia. Un mese dopo, Emma iniziò a uscire con Cameron per la prima volta.
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