Qualche giorno fa mi è stato fatto notare da Mary che non avevamo mai pubblicato il prologo originale di Città di Ossa – ed è vero ;), era una traduzione che per qualche motivo abbiamo sempre rimandato. Così eccoci a rimediare!
Speriamo vi piacerà. Secondo noi era un inizio interessante, ma siamo contente che Cassie l’abbia cambiato. 😉 Vale anche per voi?
« Questo era il prologo originale di Città di Ossa. All’epoca desideravo raccontare delle parti del libro dal punto di vista di Jace, ma scrivendo mi sono resa conto che sarebbe stato meglio farcelo vedere principalmente dalla prospettiva di Clary. Lo rendeva più misterioso, e i personaggi misteriosi sono sempre divertenti. »
I Marchi che aveva sulla pelle raccontavano la storia della sua vita. Jace Wayland era sempre stato fiero di loro. Alcuni dei giovani appartenenti al Conclave non apprezzavano le sfiguranti lettere nere, il bruciante dolore causato dai tagli nella pelle che ti faceva lo stilo, gli incubi che accompagnavano il disegnare rune troppo potenti sulla carne di qualcuno non ancora pronto. Jace non provava compassione per quei ragazzi. Se non erano abbastanza forti, la colpa era loro.
Lui forte lo era sempre stato. Aveva dovuto esserlo. La maggior parte dei giovani riceve il suo primo Marchio a quindici anni. Alec l’aveva ricevuto da molto giovane, a tredici anni. Jace, invece, a nove. Suo padre gli aveva tagliato nella pelle i Marchi con uno stilo fatto di avorio scavato. Le rune formavano il suo vero nome, e altre cose oltre a quello. “Ora sei un vero uomo,” gli aveva detto suo padre. Quella notte Jace aveva sognato città fatte d’oro e sangue, e alte torri di ossa affilate come schegge. Jace aveva quasi dieci anni e non aveva mai visto una città.
Quell’inverno suo padre l’aveva portato a Manhattan per la prima volta. Il duro pavimento era sporco, gli edifici affollati troppo vicini, ma le luci erano bellissime e luminose. E tutte le strade erano piene di mostri. Jace prima li aveva visti solo nei manuali di suo padre. Vampiri nei loro abiti elaborati, con visi di un bianco morto come la carta. Licantropi coi loro denti troppo affilati e il fetore di lupo. Stregoni dagli occhi di gatto e le orecchie a punta, a volte con code biforcute che sporgevano da eleganti cappotti di velluto.
“Mostri,” gli aveva detto suo padre con disgusto. Un angolo della bocca gli si era curvato. “Ma sanguinano rosso proprio come gli uomini, quando li uccidi.”
“E i demoni? Anche loro sanguinano rosso?”
“Alcuni. Altri sanguinano un sangue sottile come veleno verde, e altri argento o nero. Ho una cicatrice, qui, fattami da un demone che sanguinò del colore degli zaffiri.”
Jace aveva guardato la cicatrice del padre, assorto. “E hai ucciso tanti demoni?”
“Sì,” gli aveva risposto il padre. “E un giorno lo farai anche tu. Sei nato per uccidere i demoni, Jace. È nelle tue ossa.”
Jace avrebbe visto un demone per la prima volta solo molto tempo dopo, e per allora suo padre sarebbe già stato morto da anni. Si scostò la maglia e osservò la cicatrice che quel primo demone gli aveva lasciato artigliandolo. Quattro solchi paralleli che andavano dallo sterno ala spalla, lì dove suo padre aveva disegnato le rune che lo avrebbero reso rapido e forte, e nascosto agli occhi dei mondani. Veloce come il vento, forte come la terra, silenzioso come la foresta, invisibile come l’acqua.
Jace pensò alla ragazza del suo sogno, quella con i capelli rossi intrecciati. Nel sogno, non era stato invisibile ai suoi occhi. L’aveva guardato con più che consapevolezza; c’era stato riconoscimento, nel suo sguardo, come se lui le fosse familiare. Ma come avrebbe potuto una ragazzina umana vedere attraverso le sue rune?
Si era svegliato tremando, freddo come se gli avessero strappato via la pelle. Era spaventoso sentirsi così vulnerabili, più spaventoso di qualsiasi demone. Al mattino avrebbe dovuto chiedere a Hodge delle rune in grado di proteggere dagli incubi. Forse c’era qualcosa del genere, in uno dei suoi libri.
Ma adesso non aveva tempo. C’erano state segnalazioni di attività oscura in una delle discoteche del centro, corpi umani trovati flaccidi e svuotati al sorgere del sole. Jace si strinse nella sua giacca, controllò le ami e si disegnò Marchi neri come l’inchiostro sulle mani, muovendole leggermente sopra la stoffa e il metallo. Marchi che nessun umano avrebbe potuto vedere – e di questo fu grato, ripensando alla ragazza del sogno, al modo in cui l’aveva guardato, come se non fosse diverso da lei. Spogliati della loro magia, i Marchi sul suo corpo erano solo marchi, dopotutto, con non più potere delle cicatrici sui suoi polsi o sul petto, o del taglio profondo che l’assassino di suo padre gli aveva lasciato pugnalandolo all’altezza del cuore quando aveva dieci anni.
“Jace!”
Il suono del suo nome lo distolse dalle sue fantasticherie. Lo stavano chiamando dal corridoio, Alec e Isabelle, impazienti, desiderosi di cacciare e uccidere. Spazzando via il pensiero degli incubi dalla sua mente, Jace si unì a loro.
Non mi fa impazzire :-/ sono contento che l’abbia cambiato :ro: :angelic:
Fantasticooooooooooooooooooooooooooooo… lo amo questolibro :angelic: :kiss:
io penso ke sia una bufala… il padre non lo chiamava jace… è stata la mamma di alec e isabel a chiamarlo cosi…
Puoi trovare il testo in lingua originale QUI, sul sito ufficiale di Cassandra Clare. 🙂 Non è raro che tra la versione iniziale di un’opera e quella definitiva ci siano incongruenze; probabilmente Cassie, durante la stesura, ha cambiato idea sul soprannome “Jace”.
Non preoccuparti, la nostra politica come fansite ufficiale è di non pubblicare mai “bufale”. 😉
È bellissimo, ma anche secondo me ha fatto bene a non inserirlo 🙂
Quindi questo prologo originale.Il sogno della ragazza dai capelli rossi che riusciva a vederlo e la discoteca su cui indagare anticipa l’incontro che avverrà con Clary al Pandemoniu, giusto?
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